Il 20 di ottobre a Kuala Lumpur, in Malesia, una folla di persone si è recata davanti all’ambasciata americana per esprimere sostegno alla Palestina e poi la stessa folla si è radunata davanti a una moschea per protestare. Le loro voci condannano il bombardamento israeliano in corso contro il popolo palestinese. Le manifestazioni in Malesia dimostrano quanto il conflitto tra Israele e Hamas stia diventando non tanto una questione regionale, ma mondiale.
Manifestazioni si tengono oramai quotidianamente in tutto il mondo: il 20 ottobre si è registrata una ampia folla anche a Teheran che piangeva le vittime dell’attacco all’ospedale al Ahli nella Striscia di Gaza, chiedendo al governo di intervenire nel conflitto. Anche i supporter di Israele manifestano in tutto il mondo: New York, Berlino, Parigi, sono le città dove spesso i sostenitori di Israele e Palestina si scontrano.
La digitalizzazione e l’arrivo delle piattaforme social ha permesso negli ultimi 10 anni di far diventare le guerre regionali, guerre sociali mondiali. Il primo esperimento social è stata la rivoluzione del 17 febbraio 2011 in Libia, poi è arrivata la Siria, Daesh, l’Iraq, Ucraina – Russia ed ora Israele e Palestina. Che la comunicazione sia importante e che possa decidere le sorti dei conflitti e fa paura ai governi, lo dimostra la censura. Gli ucraini hanno chiuso le emittenti russe, i russi hanno censurato e multato i giornalisti ucraini. Il governo israeliano ha chiuso la filiale del canale televisivo del Qatar Al-Jazeera. Ma di tutte queste, solo l’escalation tra Israele e Hamas assume un nuovo connotato: quello della socialguerra di religione.
Il bisogno di manifestare il proprio dissenso o di rafforzare il proprio assenso sta deteriorando una situazione che a livello di sicurezza rischia di diventare guerriglia urbana in molte aree del mondo. A peggiorare la situazione la chiamata alle armi, prima di al Qaeda e ora di Daesh in supporto al popolo palestinese che altro non è che un ulteriore modo per creare tensione e disordine in quei paesi che non hanno mai messo mano alle questioni legate ai flussi migratorie. E cosi intrappolati nella necessità di dire, nessun gruppo pro o contro si è fermato a riflettere sulle conseguenze. Il rischio è quello di un fenomeno incontrollato e di continui episodi di violenza.
E mentre nei singoli paesi del mondo si fanno i conti con la sicurezza interna e in molti i trattati vengono appesi al chiodo, come quello, di Shenghen, in Medio Oriente la situazione continua ad esacerbarsi.
Nella striscia di Gaza i militanti del movimento palestinese Hamas potrebbero disporre di un arsenale avanzato di armi, che utilizzeranno in caso di un’operazione di terra da parte delle Forze di difesa israeliane (IDF), ha riferito il Washington Post. «Molto probabilmente Hamas ha un potenziale militare nascosto che potremmo dover vedere in futuro», afferma Fabian Hinz, analista militare del British International Institute for Strategic Studies. Secondo lui, i militanti del movimento palestinese potrebbero usare droni sottomarini o missili guidati ad alta precisione per colpire le infrastrutture critiche e le basi militari dello Stato ebraico. Se l’IDF lanciasse un’operazione di terra, Hamas potrebbe, in particolare, provare ad “attirare le truppe israeliane nel loro territorio” e poi “lanciare attacchi a sorpresa su obiettivi lontani dalla linea del fronte” utilizzando sistemi avanzati, ha detto Hinz.
Secondo il giornale, i rappresentanti di Hamas potrebbero acquisire la tecnologia per creare “una gamma di armi moderne”, dalle potenti mine alle munizioni a guida di precisione. Presumibilmente avrebbero potuto essere sviluppati al di fuori della Striscia di Gaza, ad esempio, “con l’aiuto di specialisti iraniani”.
Dalle immagini apparse on line, Hamas utilizza l’esperienza del Distretto Militare Nord del fronte russo ucraino per combattere i Merkava israeliani. Hamas ha pubblicato un filmato di un attacco a un carro armato Merkava. I combattenti di Hamas hanno lanciato granate RPG-7 da un drone e probabilmente hanno distrutto altro equipaggiamento israeliano.
Tuttavia, l’IDF sta anche adottando l’esperienza del conflitto sul territorio dell’Ucraina: le riprese dei cosiddetti “barbecue”, cioè la protezione anti-cumulativa, sulle torrette dei carri armati di Tel Aviv sono state attivamente pubblicate online.
Antonio Albanese e Graziella Giangiulio