Nuova ondata terroristica in Iraq

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IRAQ – Baghdad 24/09/2013. La violenza jihadista in Iraq non si è mai fermata.

L’emergere di al-Qaeda in Mesopotamia ha causato un significativo balzo in avanti nella natura, negli obiettivi e nella pratica della violenza, riporta il quotidiano libanese As Safir. Con questa escalation, gli attentati non hanno risparmiato nessuno e sono diventati sempre più diffusi e feroci. La violenza jihadista si distingue dalle altre per una forma caratteristica: è sempre basata sull’odio verso l'”altro”. Questo “altro” è stato il “Rafidites”, termine dispregiativo per gli sciiti; poi questi gruppi si sono rivolti contro quei sunniti che partecipano al processo politico, e ora prendono di mira i gruppi islamici nazionali sorti dal disciolto esercito iracheno, con l’obiettivo di resistere alle forze di occupazione.

Il conflitto tra questi gruppi e gli “altri” ha iniziato ad espandersi. Hanno preso a bersaglio Kadhimiya, Karbala, Kufa e altre regioni a prevalenza sciita, per poi arrivare ad Anbar, Mosul, Tikrit e a tutte le zone a maggioranza sunnita finendo per includere tutti coloro che sono diversi, mentre gli strumenti sono sempre gli stessi: attacchi suicidi contro gli oppositori; la morte di civili è un danno collaterale consentito dalla Sharia. Oggi parlare di takfiri nel Levante, prosegue As Safir,  è collegato agli eventi in Siria: la realtà è che questo fenomeno esiste indipendentemente dal comportamento dei regimi. Per coloro che non sono convinti dalle complesse vicende della Siria, l’Iraq è probabilmente un esempio vivente del modello di pensiero di questi gruppi e la prova della loro efficienza. Secondo gli ultimi dati della missione di assistenza delle Nazioni Unite per l’Iraq (Unami) all’inizio di settembre 2013, 5.000 civili sono stati uccisi e 12.000 feriti nel paese dall’inizio del 2013. La maggior parte di queste vittime è stata uccisa o ferita da autobombe e kamikaze.

L’Iraq, naturalmente, è il cortile di casa per gli eventi siriani e una naturale estensione del conflitto che divampa nel Levante. I due gruppi di al-Qaeda in Siria non sono separati dal conflitto. Lo Stato islamico dell’Iraq rivendica attentati ed esecuzioni sia in Iraq e Siria, mentre Jabhat al-Nusra sta reclutando combattenti per la e dalla Mesopotamia. Inoltre, dai dati disponibili questi due gruppi sommo dominanti nelle zone controllate dalle forze dell’opposizione siriana. In Iraq le autorità irachene sono responsabili per non aver fissato il percorso per fissare e concludere la riconciliazione nazionale. Il loro peccato originale è stata l’assenza di giustizia nella transizione e l’adozione di politiche che hanno escluso il partito Baath. La vera e propria guerra terroristica in corso nel Paese, condotta dai gruppi estremisti contro una parte della società, non è in alcun modo una risposta politica, ma pura violenza ideologica. Non conta affibbiargli dei nomi specifici: takfiri , terroristi o estremisti, “jihadisti” e così via. La battaglia contro questo tipo di violenza va oltre le parti interessate e riguarda piuttosto l’approccio generale al problema. La sfida posta da queste forze nel Levante oggi insita nella loro minaccia alla convivenza civile e pacifica; un guanto che al momento nessuno sembra voler raccogliere.