
Le elezioni per l’Iraq hanno registrato la vittoria del blocco guidato da Muqtada al Sadr. Al secondo e terzo posto, invece, rispettivamente la National Progress Alliance dell’uscente Presidente del Parlamento, Mohammed al Halbousi, e la State of Law Coalition guidata dall’ex Premier, Nouri al Maliki. Grandi sconfitti sono poi la al Fateh Coalition di Hadi al Amiri e soprattutto la coalizione di guidata da al Hakim e al Abadi. Sconfitta, quella dei blocchi sciiti vicini all’Iran, che non manca di suscitare reclami e minacce di rivolte armate.
Il vero vincitore delle elezioni, comunque, è il partito dell’astensionismo, a fronte di un’affluenza alle urne particolarmente debole, attestata intorno al 40%. Nonostante l’ingente dispositivo di sicurezza adottato, inoltre, si sono segnalati diversi episodi di violenza, tanto da parte dei sostenitori dei candidati, tanto da parte dello Stato Islamico, che torna a colpire attaccando diversi centri elettorali del paese, così come numerose sono state anche le segnalazioni di tentativi di corruzione, con tanto di denunce per il pagamento di tangenti al di fuori delle sedi elettorali.
Terminato lo spoglio, d’altra parte si apre ora la partita delle alleanze con una possibile compagine di governo formata dal blocco sadrista, dalla National Progress Alliance e dal Partito Democratico del Kurdistan.
La tornata elettorale anticipata ha anche certificato un vero e proprio cambio di paradigma rispetto ai risultati registrati nelle precedenti elezioni del 2018. Elezioni che hanno visto un ingente impegno da parte delle autorità politiche e di sicurezza irachene per garantire una libera espressione del voto. A partire dal lavoro dell’alta commissione elettorale, che nei giorni precedenti all’inizio delle operazioni di voto ha consegnato le ultime tessere elettorali biometriche, circa l’87% del totale.
Come detto, le elezioni hanno visto il trionfo indiscusso del blocco sadrista, seguito dall’alleanza del Progresso di Mohammed al Halbousi e dalla State of Law di Nouri al Maliki. Nello specifico sarebbero 73 i seggi guadagnati dal blocco sadrista in questa tornata elettorale, 19 in più rispetto alle elezioni del 2018. Al contempo l’alleanza del Progresso, Takadom, di al Halbousi si aggiudica 43 seggi, registrando un aumento di ben 37 seggi rispetto al 2018 e confermandosi come la forza politica maggiormente in ascesa. Terza posizione per la State of Law Coalition che ottiene 37 seggi, 12 in più rispetto alle scorse elezioni. Al quarto posto, con 32 seggi, il Partito democratico del Kurdistan, Kdp, che guadagna 7 seggi in più rispetto al 2018. 20 seggi per l’alleanza Azm, e altri 20 per la coalizione Fateh, che perde ben 28 seggi rispetto al 2018. Tuttavia il blocco che ha registrato il maggior calo di voti è senza ombra di dubbio quello di Haydar al Abadi e Ammar al Hakim con soli 4 seggi per questa tornata elettorale, contro i 71 delle scorse elezioni, registrando una perdita di ben 67 seggi. Sul fronte curdo, oltre al Kdp, Il Fronte patriottico del Kurdistan, Pçuk ottiene 17 seggi, mentre l’Unione islamica del Kurdistan ne ottiene 4.
Mohammed al Halbousi ha registrato la maggioranza dei consensi nella regione dell’Anbar, frutto di un’attenta campagna elettorale fatta di incontri con le tribù locali e delle promesse di ricostruzione delle zone disastrate dalla guerra, per la soluzione del problema degli sfollati. A testimonianza del grande seguito di al Halbousi nell’Anbar, diverse città del governatorato hanno assistito a manifestazioni di massa per celebrare la vittoria del candidato.
Ciò che emerge è prima di tutto una sconfitta dei blocchi politici più vicini all’Iran, come al Fateh coalition, e delle forze più dichiaratamente vicine agli interessi statunitensi, come si evince dalla débâcle di al Abadi e al Hakim. Nei fatti ad uscire vittoriose sono state quelle forze che si sono poste nel mezzo tra le posizioni apertamente filo statunitensi e filo iraniane, come nel caso di Muqtada al Sadr e Mohammad al Halbousi. Ad essere premiata, nonostante un forte tasso di astensionismo, è stata poi la propagandata volontà di riforma del paese espressa dal blocco sadrista, parzialmente in linea con le proteste scoppiate nel 2019, che chiedevano la fine del controllo illimitato delle milizie ed una radicale revisione del sistema politico iracheno. D’altro canto non bisogna ignorare che la maggioranza del paese, circa il 60%, ha rinunciato a partecipare al voto, sullo sfondo di un ampio movimento per il boicottaggio delle elezioni. Nei fatti non stupisce un tale livello di astensionismo, dal momento che il governo di al Kazemi avrebbe fallito nell’implementazione delle richieste avanzate dalle piazze irachene nell’ottobre del 2019.
Al netto della scarsa partecipazione alle urne, non è irreale pensare ad una maxi alleanza fra il blocco sadrista, il Partito Democratico del Kurdistan e la National Progress Alliance di Mohammed al Halbousi.
Redazione