IRAQ. Nuovi scenari geopolitici delineati dalla visita del Papa

143

Ripubblichiamo il servizio che accompagna il podcast dell’ultima puntata di Risiko, dedicata al nuovo paradigma mediorientale dopo la visita di Francesco I in Iraq. Il podcast può essere ascoltato cliccando qui.

Le radici dell’Iraq rievocano antiche culture: quella degli Assiri, dei Babilonesi, dei Sumeri. Un territorio che racchiude in sé un patrimonio culturale straordinario, eppure la storia recente della “casa di Abramo” ci racconta di un paese che non conosce pace, dilaniato dalle guerre, dai conflitti interni e dalla povertà dilagante.

Dopo l’indipendenza dal Regno Unito avvenuta nel 1932, l’Iraq diventa dapprima una monarchia, poi una repubblica socialista. A seguire, sotto il regime del partito Ba’th, diventa una repubblica presidenziale socialista. Dal 2005 è una repubblica federale parlamentare, che si regge su un precario equilibrio tra le diverse anime del paese: per consuetudine il presidente della Repubblica viene scelto tra le forze parlamentari curde, il presidente del Parlamento tra quelle sunnite, mentre il presidente del Consiglio tra quelle sciite.

L’attuale situazione socio-politica ed economica presenta diverse criticità. Nel Nord del paese la presenza di Isis si fa ancora sentire; al confine con la Siria, nella zona Nord/Nord-Ovest del paese, c’è il problema dei profughi e della tratta degli esseri umani ( specialmente nella zona del Sinjar ), aggravata dalla presenza delle milizie armate sciite; nel Sud invece continuano le aspre proteste dei giovani che chiedono condizioni di vita migliori. Inoltre negli ultimi tempi si registra un problema interno tra clan, che riguarda soprattutto la produzione e il commercio di droghe sintetiche, il cui uso è aumentato a dismisura tra i giovani.

Molte speranze sono riposte nell’azione riformista dell’attuale Primo Ministro, Mustafa al-Kadhimi, che dovrebbe traghettare il paese verso nuove elezioni presumibilmente ad ottobre, anche se al momento a livello parlamentare si registra un certo immobilismo: non si è ancora trovato un accordo sulla legge elettorale e sulla costituzione del Tribunale che dovrebbe convalidare le nuove elezioni. A creare difficoltà è anche la questione del Kurdistan. Sono settimane di discussioni, infatti, non si è ancora trovata la quadra sulla legge di bilancio 2021, proprio perché manca l’accordo politico sulle risorse da destinare alla regione autonoma.

In questo contesto, la recente visita di Papa Francesco, la prima di un Pontefice in territorio iracheno, ha aperto nuove prospettive. In relazione a ciò, va detto che esiste da tempo in Iraq una “questione cristiana”. Prima della costituzione dello Stato Islamico, infatti, la minoranza cristiana viveva prevalentemente nella Piana di Niniveh.

Cacciati e depredati prima da Daesh e poi dalle milizie sciite armate, il numero della popolazione cristiana si è ridotta da circa 1 milione a 500 mila persone. Stremati da questa situazione, i cristiani iracheni hanno chiesto al Vaticano un intervento in loro sostegno per agevolare un ritorno nelle loro terre. E le parole di Papa Francesco in visita a Mosul, sono andate proprio in questa direzione.

Un auspicio che potrà concretizzarsi a patto che il Premier al-Kadhimi riesca nel suo intento di riprendere il controllo delle milizie, che un tempo erano state arruolate per combattere Isis, e ricondurle in un alveo istituzionale. Il problema delle milizie, infatti, non riguarda soltanto le sorti della minoranza cristiana. Nel paese esistono diversi campi interni di sfollati, che sono stati costretti a lasciare le loro case in ragione dell’azione predatoria delle milizie sciite, che hanno confiscato terre e attività economiche, arrivando a commettere crimini inumani come nel caso della pulizia etnica avvenuta a Jufr al-Sakhar.

In sintesi, se al-Kadhimi riuscirà a dirimere la questione delle milizie sciite, non risolverà soltanto i problemi della comunità cristiana ma porrà fine a tutta una serie di conflitti interni che hanno destabilizzano l’intero territorio, permettendo a migliaia di iracheni di tornare ad una vita normale: quella esistente prima dell’avvento di Isis.

Insomma, c’è la voglia di lasciarsi alla spalle lunghi decenni di guerre, di conflitti, di violenze e di ricordi scomodi, come il genocidio della minoranza religiosa yazida risalente ormai al 2014. Del resto il paese è allo stremo dal punto di vista economico e quindi anche sociale: manca l’acqua, mancano i sistemi fognari, mancano gli ospedali e la corrente elettrica. Nelle regioni del sud, inoltre, si registrano molti casi di cancro, in quanto nelle fabbriche che lavorano prodotti petroliferi sono assenti gli impianti di depurazione, a discapito della salute dei lavoratori.

In questo contesto, la visita di Papa Bergoglio ha mostrato al mondo un altro volto dell’Iraq: quello di un paese che dopo tante vicissitudini è pronto ad affrontare i problemi non attraverso lo scontro ma il confronto tra le diversità.

Non a caso l’immagine simbolo legata alla visita di Papa Francesco è quella che ritrae l’Ayatollah Al-Sistani mentre si alza per ben due volte davanti al suo ospite, contravvenendo al rigido protocollo secondo cui l’Ayatollah non si deve mai alzare davanti al suo interlocutore. L’importanza di questo fatto si rinviene anche dalla reazione che ha provocato da parte di Isis che, attraverso la sua agenzia di stampa ufficiale IRNA (Islamic Republic News Agency) ha sentito il bisogno di precisare che non si è trattato di un atto di riverenza dell’Ayatollah di fronte al Papa cristiano, bensì di una sorta di manifestazione di entusiasmo di al-Sistani di fronte la possibilità di normalizzare i rapporti tra lo sciismo (soprattutto quello iraniano) e il Vaticano.

Le reazioni alla visita di Papa Francesco in Iraq, non sono mancate. Al plauso delle potenze occidentali per il coraggio del Pontefice, fuori dal coro si è alzata la voce della Turchia, che dal suo punto di vista vede con preoccupazione la normalizzazione dei rapporti tra musulmani e cristiani in Iraq. Ankara è arrivata a protestare formalmente contro la regione autonoma del Kurdistan, rea di aver emesso un francobollo per commemorare la visita papale, minacciando addirittura ripercussioni per l’accaduto. Del resto, se in Iraq si andranno a modificare gli equilibri interni, questi produrranno un effetto domino su tutto il Medio Oriente.

Le questioni aperte sono diverse. La Turchia, specialmente dopo l’accordo petrolifero con il Kurdistan, rischia di perdere rilevanza da riavvicinamento tra la regione autonoma e Bagdad. Inoltre, una delle cause della carenza di fornitura di acqua in Iraq è dovuta all’azione delle dighe costruite dalla Turchia sui fiumi Eufrate e Tigri. Ci sono poi i rapporti tra Iraq e Iran, che non riguardano soltanto il capitolo energetico. Al riguardo, bisogna anche tenere presente che l’Ayatollah al-Sistani è di origini iraniane. Girano anche voci sulle recenti visite del Ministro degli Esteri iracheno in Iran, che secondo indiscrezioni rappresentano il tentativo ( o la richiesta) di Teheran di spingere l’Iraq ad aprire nuove relazioni con l’Arabia Saudita.

In tutto questo scenario, l’Europa continua ad essere la grande assente, e non solo a causa dei problemi legati alla pandemia. La mancanza di una politica estera della UE, fuori dal Vecchio Continente è ritenuta un segnale di debolezza politica. Non a caso, le ripetute richieste di aiuto dell’Iraq a Bruxelles al momento sono rimaste lettera morta, e la Cina si è già mossa per coprire il vuoto politico lasciato dall’Europa.

Buon ascolto!

Cristina Del Tutto