Tsunami iracheno sull’Asia meridionale?

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ITALIA – Roma 27/06/2014. L’avanzata dei militanti dello “Stato Islamico in Iraq e nel Levante” (SIIL) nel nord dell’Iraq sta alimentando grave preoccupazione nella comunità internazionale. Oltre a sancire il fallimento della politica americana nella regione e a mettere in moto una pericolosa riconfigurazione degli equilibri di potere all’interno della galassia jihadista internazionale, i successi del gruppo terroristico guidato da Abu Bakr al-Baghdadi potrebbero avere ripercussioni negative su numerosi altri scenari, tra cui quello sud-asiatico.

L’India, in particolare, guarda con grande attenzione agli avvenimenti in corso in Iraq. L’avanzata del SIIL, infatti, ha innanzitutto posto dei problemi di sicurezza per le persone che risiedono nelle province conquistate dal gruppo di al-Baghdadi. Nelle settimane passate, circa 40 infermiere indiane sono state prese in ostaggio. Oltre un centinaio di altri cittadini indiani sarebbero “intrappolati” in aree dominate dal SIIL. In tutto, sarebbero circa 10.000 gli indiani residenti in Iraq. Si tratta, dunque, della prima importante sfida che il governo di Narendra Modi, da poco insediatosi a Nuova Delhi, è chiamato ad affrontare. Le autorità indiane hanno, al momento, escluso l’ipotesi di un’operazione militare per liberare i cittadini tenuti in ostaggio, ma gli avvenimenti iracheni stanno mobilitando in misura crescente la folta comunità musulmana residente indiana, in particolare quella sciita. Con circa 175 milioni di persone (15% della popolazione), l’India è il terzo Paese al mondo per numero di musulmani. Gli sciiti in India sono oltre 50 milioni: si tratta, dunque, in termini numerici, della seconda comunità più estesa, dopo quella iraniana.
L’India ha sempre cercato di mantenere una chiara posizione di neutralità nello scontro tra sunniti e sciiti, nel tentativo di non alimentare il risentimento di una delle due correnti. Gli avvenimenti in corso in Iraq potrebbero, ciononostante, aggravare le tensioni settarie in India, a prescindere dalla politica ufficiale di Nuova Delhi. Nelle ultime settimane, l’organizzazione Anjuman-e-Haideri, guidata dal religioso sciita Maulana Kalb-e-Jawad, ha avviato una campagna per il reclutamento di volontari disposti a recarsi in Iraq per difendere i santuari sciiti di Karbala e Najaf. A più riprese, i militanti di SIIL hanno dichiarato l’intenzione di portare l’insorgenza sunnita nelle due località sacre per gli sciiti, ipotesi che rischierebbe di infiammare le tensioni settarie, con conseguenze fortemente destabilizzanti per l’intera regione mediorientale e non solo. Sinora, sarebbero stati sinora circa 100.000 gli indiani di fede musulmana sciita a dare la propria disponibilità per partire in Iraq. Secondo quanto dichiarato dal portavoce di Anjuman-e-Haideri, l’obiettivo sarebbe quello di mettere insieme un esercito di circa un milione di volontari per creare una catena umana che circondi i santuari in caso di attacchi del SIIL.
Oltre che facendo leva su elementi di carattere settario, l’organizzazione sta tentando di guadagnare consensi tra la popolazione, soffermandosi sui rischi che l’avanzata del SIIL pone per la sicurezza del Paese. A questo proposito, i leader di Anjuman-e-Haideri hanno scritto una lettera al governo indiano, nella quale è stato posto l’accento sul sostegno che SIIL offrirebbe ai gruppi terroristici interessati a compiere attentati in India, un chiaro riferimento alle formazioni che operano in Pakistan.
Oltre ai rischi per la sicurezza e ai pericoli per la pacifica convivenza tra sunniti e sciiti, gli avvenimenti in corso in Iraq rischiano di produrre effetti negativi anche sull’economia indiana. Il Paese dipende in larga parte dalle importazioni di petrolio per soddisfare il fabbisogno energetico interno. A causa delle sanzioni internazionali sull’Iran, da circa tre anni l’Iraq rappresenta il secondo fornitore di petrolio sul mercato indiano, dopo l’Arabia Saudita. Sino ad ora, il prezzo del greggio ha subìto solo un leggero aumento, dovuto più ai timori e alle speculazioni internazionali che a una effettiva diminuzione delle risorse disponibili sul mercato. Circa il 95% della produzione petrolifera irachena, infatti, è concentrata nel sud del Paese, area sinora non interessata dall’avanzata del SIIL. Tuttavia, a causa della gravità degli avvenimenti in corso, non è possibile escludere l’eventualità che gli scontri si intensifichino, assumendo le dimensioni di un conflitto civile. In questo caso, il prezzo del greggio subirebbe un’inevitabile impennata, con ripercussioni negative per la ripresa economica internazionale e, in particolare, per le economie maggiormente dipendenti dall’importazione di risorse energetiche. Un aumento del prezzo del greggio inferiore ai 10 dollari costerebbe all’India tra i 3 e i 4 miliardi di dollari. Ipotesi che rischia di condizionare in qualche modo la legge di bilancio che verrà presentata nei prossimi giorni dal nuovo governo indiano.
Un’impennata del prezzo del greggio, dunque, avrebbe ripercussioni anche su numerosi altri Paesi, compreso il Pakistan. Tuttavia, nel caso di Islamabad, i rischi legati agli avvenimenti in corso in Iraq assumono una dimensione quasi esistenziale. Anche il Pakistan, come l’India, ha tentato di mantenersi neutrale nei conflitti di carattere settario che interessano il Medio Oriente. Alcuni mesi fa, il governo di Islamabad avrebbe, ad esempio, respinto la richiesta pervenuta dall’Arabia Saudita di rifornire di armi i ribelli siriani, di fede sunnita. Tuttavia, da alcuni anni, in Pakistan si è registrato un preoccupante aumento delle tensioni settarie. Nel 2013, le vittime di attentati di matrice settaria sono state 687 (in prevalenza sciiti), in aumento di oltre il 20% rispetto al 2012. Nel Paese operano vari gruppi terroristici di matrice settaria, tra i quali Lashkar-e-Janghvi e Sipah-e-Sahaba, che negli anni sono riusciti a stabilire forti legami con le altre formazioni terroristiche attive in Pakistan. L’ascesa di tali gruppi è stata favorita dall’ambigua politica adottata dai governi che si sono succeduti alla guida del Paese, mai fermi nel condannare gli episodi di violenza di matrice settaria, e anzi spesso accusati di collusioni con tali formazioni.
L’escalation delle tensioni tra sunniti e sciiti provocata dalla crisi irachena potrebbe, dunque, ulteriormente complicare la convivenza tra le due comunità in Pakistan, con ripercussioni fortemente negative per le già precarie condizioni di sicurezza in cui si trova il Paese, alle prese con la campagna militare avviata il 15 giugno contro il gruppo terroristico “Tehrik-i-Taliban Pakistan” (TTP) e altre formazioni alleate.
L’avanzata dei militanti di SIIL rappresenta, dunque, una sfida di primaria importanza per l’intera comunità internazionale, il cui esito sarà decisivo per la futura stabilità di una regione strategica come il Medio Oriente, ma non solo. Il disimpegno americano dalla regione e l’assenza di efficaci organismi internazionali di concertazione e di dialogo costituiscono gravi ostacoli in una fase fluida come quella attuale, e potrebbero favorire alleanze basate sulla contingente convergenza di interessi, come dimostrato dal progressivo riavvicinamento tra Iran e Stati Uniti.