Nonostante le proteste infuriano in patria, il governo iraniano sta mostrando i suoi muscoli all’estero: Teheran ha eseguito esercitazioni in una regione di confine con l’Azerbaigian e bombardato posizioni curde in Iraq.
Queste mosse dimostrano che i leader iraniani stanno cercando di raccogliere il sostegno dei duri e puri all’interno del Paese mentre continuano le manifestazioni per la morte di Mahsa Amini. Servono anche a ricordare al Medio Oriente e all’Occidente che il governo iraniano è disposto a usare la forza sia all’estero che in patria per rimanere al potere.
Ad aumentare ulteriormente il rischio di destabilizzazione è il programma nucleare iraniano. Teheran dispone ora di una quantità di uranio altamente arricchito sufficiente a costruire una bomba atomica, se lo volesse, e continua a produrne altro, mentre i negoziati Jcpoa sono in stallo.
Nemmeno il violento operato delle forze di sicurezza ha placato la rabbia sociale in Iran, mentre il paese si trova ad affrontare un peggioramento della situazione economica.
Il governo iraniano, nel frattempo, ha cercato di fornire una controprogrammazione, radunando uomini e donne che sventolano la bandiera e indossano il chador nero per eventi a Teheran e altrove.
Nelle ultime settimane l’Iran ha cercato di dimostrare che è in grado di colpire i suoi nemici, reali o percepiti. I primi attacchi sono arrivati a fine settembre, quando la Guardia Rivoluzionaria iraniana ha scatenato attacchi con droni e missili contro aree che ospitano i separatisti curdi che vivono oltre il confine con l’Iraq. I funzionari curdi affermano che quegli attacchi hanno ucciso almeno 16 persone, tra cui un cittadino americano, e ne hanno ferite altre decine. All’epoca, l’Iran sostenne che i separatisti curdi avevano scatenato le manifestazioni per la morte di Amini, un curdo.
Ci sono state attività militari anche al confine settentrionale dell’Iran con l’Azerbaigian, dove la Guardia Rivoluzionaria ha effettuato esercitazioni militari per diversi giorni.
La Tasnim ha pubblicato un video in cui le truppe della Guardia installano ponti di pontoni sul fiume Aras al confine azero, per poi attraversarlo con carri armati e camion.
I legami dell’Azerbaigian con Israele hanno irritato Teheran, soprattutto perché il 69% di tutte le sue principali importazioni di armi proveniva da Israele nel periodo tra il 2016 e il 2020, secondo il Sipri. L’Iran vuole anche mantenere il suo confine di 44 chilometri con l’Armenia, che non ha sbocchi sul mare, cosa che potrebbe essere minacciata se l’Azerbaigian si impadronisse di nuovi territori attraverso la guerra.
In mezzo alle continue dimostrazioni in Iran, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price ha recentemente descritto gli sforzi per creare una road map per ripristinare l’accordo nucleare del 2015 dell’Iran con le potenze mondiali come “non il nostro obiettivo in questo momento”, riporta VoA.
Se da un lato i critici della repressione iraniana dei manifestanti plaudono al cambiamento di linguaggio di Washington, dall’altro un fallimento prolungato del ripristino dell’accordo nucleare aumenta i rischi di proliferazione nucleare posti da Teheran, potenzialmente un altro punto di innesco delle tensioni regionali.
L’Iran arricchisce attualmente l’uranio fino al 60% di purezza, a un passo dai livelli di armamento del 90%. Negli ultimi mesi i funzionari iraniani hanno discusso apertamente di voler costruire una bomba, cosa un tempo considerata tabù.
Israele ha avvertito che non permetterà mai all’Iran di ottenere un’arma nucleare e in passato ha effettuato attacchi aerei per distruggere programmi atomici in Iraq e Siria. Questo apre il rischio di un conflitto più ampio, anche se le tensioni sul programma iraniano hanno portato la regione a un basso livello di incidenti violenti dal 2019.
Nel frattempo, gli Stati Uniti continuano a segnalare di essere pronti a usare la forza nella regione, se necessario. I sorvoli dei bombardieri B-52 a capacità nucleare iniziati sotto l’amministrazione del presidente Donald Trump sono proseguiti sotto il presidente Joe Biden.
Antonio Albanese