
Il 27 agosto Georgii Muradov, vice primo Ministro di Crimea e rappresentante permanente della Crimea presso il presidente della Federazione Russa, ha dichiarato che l’Iran potrebbe avvalersi dei porti della Crimea per il trasporto del petrolio. Muradov, ripreso dalla Tass ha detto: «L’Iran può utilizzare le nostre capacità di trasporto (…) e trasportare il petrolio a nord attraverso il Mar Caspio, poi sul Canale Volga-Don, via Crimea, fino al Mar Nero». Anche se ad oggi il governo iraniano non ha ancora risposto all’invito di Muradov, l’idea di Teheran è quella di evitare il deterioramento della situazione marittima nel Golfo, permettendo al petrolio iraniano di entrare nelle acque territoriali europee senza passare attraverso le zone marittime dominate dagli Stati Uniti.
L’approfondimento delle relazioni tra Crimea e Iran sono una risposta logica all’isolamento economico prodotto dalle sanzioni internazionali. L’invito di Muradov apparentemente aggiunge altre opzioni per l’Iran nel tentativo di ridurre l’impatto delle sanzioni Usa, la logistica continua a limitare la portata di tali scambi. Il collo di bottiglia principale, riporta la Jamestown Foundation, è infatti il Canale Volga-Don della Russia sudoccidentale, la cui profondità relativamente bassa preclude l’uso di grandi petroliere; i progetti russi per costruite un canale di maggiore portata non sono stati fino ad ora realizzati.
Prima delle sanzioni, l’Iran inviava petrolio principalmente attraverso il Canale di Suez, in Siria e Turchia. Tuttavia, il Canale di Suez, rotta tradizionale per le petroliere iraniane, è indisponibile a causa delle sanzioni; così il petrolio iraniano per arrivare nel Mediterraneo deve circumnavigare l’Africa e poiché l’Iran dipende principalmente dalla sua flotta di petroliere costruite nei suoi cantieri, la loro costruzione, la loro età e le loro dimensioni causano ulteriori problemi.
Per questi ed altri motivi relativi al passaggio del Canale di Suez, ad ora l’Iran dovrà continuare ad esportare la maggior parte delle sue spedizioni attraverso lo Stretto di Hormuz, dove l’esercito statunitense sta aumentando sempre più la sua presenza. La Cina, uno dei principali mercati di esportazione di energia dell’Iran, ha chiarito che le sanzioni statunitensi non avranno alcun impatto sui suoi acquisti.
La disputa commerciale dell’amministrazione Donald Trump con la Cina si è ora sovrapposta alle politiche marittime del Golfo. Washington ha considerato per decenni le acque che circondano la penisola arabica come critiche per la sicurezza nazionale. Sulla scia della rivoluzione islamica iraniana, il governo degli Stati Uniti ha sviluppato quella che è stata chiamata “Dottrina Carter” (1980), impegnando gli Stati Uniti a utilizzare i militari per difendere i propri interessi nel Golfo Persico.
In un complesso contesto dove molti sono i favoriti di rischio volatili, l’opzione della Crimea darebbe all’industria petrolifera iraniana un maggiore spazio di manovra. Le esportazioni di petrolio iraniano sono scese dai 2,5 milioni di barili al giorno dell’aprile 2018 a 0,5 milioni di barili, a causa della reimposizione di sanzioni. Qualunque sia l’esito finale dell'”opzione Crimea”, uno dei risultati forse non previsti dell’attuale politica sanzionatoria degli Stati Uniti è quello di avvicinare sempre più Russia, Cina e Iran per difendere i loro interessi economici.
Graziella Giangiulio