L’economia iraniana dsi dibatte tra mille difficoltà ed una crisi inflativa che fa a pezzi la moneta, l’economia e che falcidia l’occupazione. Il futuro economico per il Paese non viene percepito dagli iraniani come roseo e la sfiducia dilaga nonostante gli appelli del regime dal chiaro sapore autarchico.
La moneta iraniana, il rial, ha perso oltre il 7 per cento nei confronti del dollaro, dimezzando il suo valore in dodici mesi. SI tratta di un dato significativo: in una settimana la moneta di Teheran ha perso un quarto del suo valore. La caduta libera del rial suggerisce che probabilmente le sanzioni occidentali legate al programma nucleare iraniano stanno creando seri danni all’economia del Paese e che le riserve statali di moneta “pesante” si stanno assottigliando (vedi http://www.agccommunication.eu/geoeconomia-it/1485-iran-moneta-valuta-dollaro.html)
Il 30 settembre, il ministro delle Finanze israeliano Steinitz ha dichiarato che l’economia iraniana era ormai «sull’orlo del baratro», era cioè prossima al collasso. Le stime sulle perdite di Teheran, secondo Steinitz si aggiravano tra i 45 ed i 50 miliardi di dollari per la mancata vendita di petrolio a seguito delle sanzioni che hanno annientato le esportazioni di petrolio e congelato di fatto le linee di credito internazionali per il Paese. La caduta del rial ha subito una brusca accelerazione dopo che il governo ha deciso la creazione di un “cetnro di scambio” con lo scopo di fornire dollari agli importatori di alcuni beni di base a tassi speciali, più convenienti rispetto a quelli praticati sul mercato. Invece di rassicurare gli animi sulla disponibilità di dollari, il centro ha apparentemente peggiorato la situazione agganciando il tasso speciale a quello di mercato, indicando di fatto che anche gli importatori “privilegiati” dovranno pagare costi più alti mano a mano che il rial perde forza. La crisi del rial si abbatte su una situazione economica disastrosa. L’inflazione, incrementata dalle sanzioni, corre veloce: il 25% stando ai dati ufficiali, ma potrebbe essere facilmente il doppio stando a dati reali; centinaia di migliaia di lavoratori hanno perso il lavoro via via che l’embargo ha chiuso le prospettive di esportazione dei prodotti iraniani mentre anche l’import soffre pesantemente. Molte società iraniane non riescono ad ottenere materie prime per le loro lavorazioni. A perdere il lavoro ora sono i professionisti di settori strategici come quello petrolifero ed energetico,si stima che saio rimaste disoccupate tra le 550mila e le 80mila persone. L’Istituto di statistica di Teheran ha stimato il tasso di disoccupazione al 12,9% per i primi mesi del nuovo anno (in Iran inizia nel mese di marzo), più di un punto percentuale più basso rispetto al periodo precedente. Gli analisti occidentali hanno ritenuto simili cifre impossibili: il dato di disoccupazione dovrebbe aggirarsi al 20%. A confortare simili analisi sta il dato della caduta della produzione automobilistica, il maggiore settore d’impiego nel Paese: meno 30% negli ultimi sei mesi. Nel 2011, l’Iran era il tredicesimo produttore di auto al mondo (1,6 milioni di veicoli prodotti) ma i lievitati costi dei pezzi e della componentistica hanno bloccato il settore. La Peuget-Citroen francese ha bloccato l’esportazione di parti di ricambio in seguito agli elevati costi legati ai prestiti bancari per la spedizione; di fatto pur anno aderendo all’embargo la Francia ha bloccato le vendite sul mercato iraniano. Secondo le previsioni del Fmi fatte ad aprile 2012, l’economia iraniana sarebbe cresciuta dello 0,4% nel 2012 dopo esserlo del 2% nel 2011.
L’Iran era il quarto produttore di petrolio al mondo nel 2011, e la sua produzione si è fermata quasi del tutto come del resto tutto il comparto legato all’estrazione nonostante gli incentivi economici autarchici all’acquisto di beni e prodotti nazionali. Addirittura, l’appello del governo ad acquistare iraniana o può essere letto come una tacita ammissione della crisi in cui si dibatte il regime e la sua economia. Tutto questo si traduce in una vera fuga di cervelli: i dati del 2009, gli ultimi disponibili, ci danno un cifra di 150mila persone con livello d’istruzione alto che lasciano un Paese che può vantare, sulla carta, un mercato giovane di 75 milioni di persone.