IRAN. Con Soleimani è morta l’apoteosi del Khomeinismo

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Gli Usa hanno ucciso più di un potente uomo del regime iraniano: hanno colpito le ambizioni imperiali iraniane. «Qassem Soleimani è stato ucciso, tre parole che hanno gettato le basi di questo nuovo decennio in Medio Oriente nei suoi primi giorni. È difficile immaginare un evento che abbia implicazioni più significative dell’assenza di Soleimani dalla scena, o delle tante scene in Medio Oriente», scrive Nadim Koteich è un commentatore satirico politico, e conduttore di talk show, ripreso da Asharq Alawsat.

Soleimani era più di una metafora delle ambizioni iraniane; Soleimani non era solo il leader di una missione: era la missione; il progetto stesso, finendo nella sua immagine l’imperiale, il religioso e l’ideologia khomeinista al massimo del suo splendore, dentro e fuori dall’Iran.

Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah, ha illustrato le aree in cui ha operato il generale iraniano: Palestina, Afghanistan, Libano, Iraq, Siria e, anche Yemen, fatto che le dichiarazioni ufficiali iraniane negano ancora. Il Generale David Petraeus ha ricordato in una recente intervista alla Cbs il messaggio che lo stesso Soleimani gli fece pervenire in Iraq quando era al comando laggiù, nel 2008: «Diceva, generale Petraeus, lei deve sapere che io, Qassem Soleimani, controllo la politica per l’Iran quando si tratta dell’Iraq e anche di Siria, Libano, Gaza e Afghanistan».

La teoria politico militare di Qassem Soleimani era quella di combinare milizie e istituzioni statali di ogni Paese, avendo come format Hezbollah e le istituzioni statali libanesi da un lato e le al-Ḥashd ash-Shaʿbī (le Forze di mobilitazione popolare) e lo Stato iracheno. In questa maniera, Teheran ha un vantaggio su tutti i paesi dell’area: è l’unico Paese presente su tutti i fronti senza che il suo esercito sia direttamente coinvolto. Qassem Soleimani era il teorico della proxy war iraniana. 

Ad esempio in Iraq, paese che rischia di implodere, più di sessanta milizie sono finanziate, addestrate e fedeli all’Iran sotto l’etichetta delle al-Ḥashd ash-Shaʿbī, il cui vice, l’Ingegnere al Mohandis, è morto con Soleimani. Tutte queste sono state legittimate e integrate nell’apparato statale, pur mantenendo una grande indipendenza sul campo; mentre in Siria, migliaia di combattenti stranieri sono presenti in altre decine di milizie sciite. Questo era il genio di Soleimani e il loro intreccio ha fatto scuola, permettendo a Teheran di essere contemporaneamente su tutti i fronti caldi e di non esserci allo stesso tempo.  

La morte di Soleimani ha interrotto questo gioco ambiguo; Soleimani è stato ucciso alla fine di un viaggio che lo ha portato a Beirut dove aveva incontrato Nasrallah, il leader di Hezbollah, e poi a Damasco, e poi a Baghdad dove ricevuto da Abu Mahdi al-Muhandis, ci è morto insieme.

«Se Henry Kissinger diceva che l’Iran è una rivoluzione che deve diventare uno Stato. Trump lo ha modificato decidendo di assassinare Soleimani. Attraverso la sua esecuzione, ha portato questa definizione dall’ambito accademico a quello politico».  Le conseguenze sono tutte da vedere, ma ci sono già le avvisaglie di possibili scenari futuri: la risposta di Zarif e soprattuto il discorso di Nasrallah, ritenuto non all’altezza del momento dai suoi. 

Antonio Albanese