ITALIA – Roma 31/07/2016. In occasione del diciassettesimo anniversario dell’ascesa al trono di Mohammed VI, re del Marocco, si è svolta a Roma nella cornice di Villa Aurelia, la Festa del Trono. Abbiamo quindi avuto occasione di poter incontrare l’ambasciatore del Regno del Marocco presso la Repubblica italiana, S.E. Hassan Abou Ayoub.
Con l’ambasciatore abbiamo parlato della situazione libica, della presenza dello Stato Islamico nell’area mediorientale e dei rapporti politico-culturali che legano i due stati. Idea centrale del nostro incontro incontro è stata: «In nome della laicità non posso togliere dalla mappa sociale dell’Europa l’Islam, sono oramai milioni i musulmani nella Ue», argomento che tragicamente è sulla scena politica e di sicurezza del Vecchio Continente.
AGC COMMUNICATION: Questione libica e Marocco. Il 17 dicembre 2015 a Skhirat, Marocco è stato siglato un importante accordo tra le due parti libiche che da alcuni anni si combattevano. Cosa avverrà ora, e il conflitto libico?
AMBASCIATORE: Un sistema nazionale crolla per motivi diversi, nel caso della Libia si è trattato di un crollo provocato da interventi esteri. Quando questo crollo non ha anticipato un’alternativa, il caos è la sua normale conclusione. E la Libia è nel caos. E nel caos si può intraprendere qualsiasi tipo di iniziativa, come mobilitare risorse umane e soldi e sfruttare le risorse naturali del paese. Fattori appunto che hanno creato il caos di oggi in Libia. E ancora nel caos la presenza di interlocutori, di protagonisti di variegata estrazione sociale con diversa influenza ideologica, favorisce gli interventi esteri o esterni. E nel caso libico ne abbiamo tanti, anzi tantissimi. Dopo tre anni non c’è più la realtà libica limitata a un dibattito libico, ma la Libia è oggetto di una conflittualità regionale, con influenze diverse, con agende diverse. E allora ovviamente risolvere il caos significa in questo caso essere un “honest broker” , un mediatore neutro in grado di fare dialogare, in primis, i componenti libici. Essere in grado di mettere insieme realtà conflittuali. E poi essere in grado di creare una dinamica internazionale, nel senso di ottenere l’appoggio di potenze regionali e non regionali. Il Marocco, in questo caos, con gli accordi di Skhirat ha potuto rispondere ad almeno due caratteristiche: la prima essere mediatore neutro, secondo essere un paese rispettato da tutti i componenti esteri che giocano un ruolo nel caos libico. La firma dell’accordo di Skhirat è il risultato di un nostro sforzo nel aver mantenuto la fiducia nel dialogo da un lato e di aver offerto dall’altro le possibilità di un dialogo sereno. Abbiamo messo attorno a un tavolo a Skhirat 300 persone tra elementi della politica di Tobruk, Tripoli e delle tribù. Si tratta di una grande opportunità politica. non è l’inizio della pace ma di un processo verso la pace e la stabilizzazione del paese che richiede l’appoggio della comunità internazionale prima di tutto. Va messo in atto un processo di sicurezza, capacity link, etc. Bisogna cercare di costruire un ambiente adatto a questo governo per dare vita alla nuova costituzione ad un referendum costituzionale e quindi a nuove elezioni. Per avviare un processo di indipendenza libica.
AGC COMMUNICATION: Ambasciatore in questo suo percorso verso la pace resta l’incognita di un attore esterno che occupa parte del paese, quantomeno militarmente, ritenute strategiche che si pone come antistante, rivendicando quelle aree del paese come suo territorio: Daesh. Come pensa Daesh possa contrastare il processo di pace libica?
AMBASCIATORE: Quando c’è il vuoto istituzionale tutti gli scenari sono immaginabili e tutti possono concretizzarsi. Nel creare un governo di unione nazionale o unità nazionale, nell’instaurare una capacità difensiva di sicurezza di uno stato legittimo, ovviamente il primo compito di questa realtà è quello di affrontare tutte le minacce estere. Quella di Daesh è una minaccia. Ciò che sta accadendo in Siria e in Iraq è la sessa cosa. C’è un vuoto dovuto al crollo di un paese chiamato Iraq e di un paese chiamato Siria, in questo vuoto si è instaurato Daesh. Un fenomeno “quasi statale”, non ha riconoscimento internazionale però ha un esercito e ha funzioni organiche quasi statali: giustizia, sanità, etc. Fintanto che la nazione legittima non sarà restaurata nella sua capacità di fare sicurezza, di provvedere al benessere della popolazione questo fenomeno potrà sopravvivere. Io mi auguro che il governo di unità nazionale libico, con l’aiuto della comunità internazionale, abbia le capacità necessarie di dare vita a un governo libico. Perché l’accordo c’è, è stato stabilito per instaurare una nuova sovranità sul territorio libico, l’autonomia sul suo territorio.
Tra le minacce che la Libia dovrà affrontare ci sono quelle che vengono anche da Sud, come la situazione critica del Sudan e che arrivano fino alla Nigeria, che purtroppo rischiano di andare nella stessa direzione: convergono nella stessa direzione di instabilità, insicurezza.
AGC COMMUNICATION: Negli ultimi 11 mesi c’è stato un forte sviluppo di Daesh in Libia, in Algeria, e Mali. Questo passaggio dalla Siria al Mali, in un certo senso farebbe pensare a situazioni simili in Marocco. È possibile?
AMBASCIATORE: Quando il sistema è debole si crea un vuoto permeabile. Il Marocco ha invece istituzioni antiche, ha una storia, istituzioni democratiche, un sovrano, un popolo unito dietro valori comuni. In un paese così non c’è spazio per un fenomeni di qualsiasi natura volti alla destabilizzazione del paese. Anche se va detto che oggi tutti i paesi del mondo sono sotto la possibilità di contaminazione di questi fenomeni. Questo fenomeno è un fenomeno di devozione e dunque e dunque dobbiamo affrontare questa situazione. Dobbiamo cambiare il paradigma dell’esercito westfaliano. La forza del Marocco, comunque, sta nell’anticipare i fenomeni. Abbiamo anticipato le sommosse politiche e poi abbiamo preso dei provvedimenti legislativi, cambiato le leggi, il diritto penale, per integrare il fabbisogno di queste persone, dei movimenti. E terzo abbiamo puntato sull’autodifesa dal punto di vista spirituale. Non è per caso che abbiamo dato degli spazi agli imam non radicali. Abbiamo dato vita a scuole per Imam. Dobbiamo essere in grado di premunirci spiritualmente, e culturalmente. E questo nostro modello di formazione degli imam ora è adottato in molti paesi.
AGC COMMUNICATION: Dal punto di vista del contrasto al terrorismo il Marocco ha fatto alcuni passi interessanti. Abbiamo parlato di esercito westfaliano, militare poliziesco del territorio che non tiene in alcun conto gli aspetti culturali e religiosi. Daesh si pone, al contrario, come elemento religioso e poi politico. Lei ritiene che il dato sulla sicurezza “culturale sia stato percepito dall’Europa?” Pensa sia stata accolta la necessità di dare maggior peso alla cultura?
AMBASCIATORE: Partiamo dalla statistica, dall’osservazione del fenomeno del terrorismo, della violenza politica, dei radicalismi e vediamo che innanzitutto, Daesh ha danneggiato i musulmani. Per esempio, la proporzione con le vittime europee: queste sono molte meno di quelle del mondo arabo. Due: se valutiamo dove sono avvenuti questi attentati terroristici vediamo che la maggior parte sono avvenuti fuori dall’Europa, in territorio arabo. E ancora la causa non è religiosa. I valori della nostra religione anche quelli del monoteismo proibiscono la morte e vietano di uccidere. Nel Corano chi uccide una persona, uccide l’umanità così come, salvare un’anima è salvare l’umanità. Dunque non si può giustificare quello che questo gruppo/i fa/fanno con la religione. Quindi si tratta di ideologia. Ci troviamo di fronte a un concetto di identità, un concetto molto complesso. C’è ancora il problema, in quei territori, di sopravvivere alle realtà difficili. Con complicazioni sociali. Quando c’è il crollo di una nazione, quando viene meno il benessere dei cittadini si crea un vuoto e coloro che sono in grado di offrire un’alternativa riempiono un vuoto. Daesh dunque ha offerto a circa 16 milioni di persone una sanità, un sistema giudiziario, etc. Fino a che noi tutti, che seguiamo valori universali, non siamo in grado di dare vita a una vera coalizione che sia in grado di offrire una risposta culturale, un’educazione o una risposa sociale e socio economica e di sicurezza, lasciando quindi che il vuoto sia riempito da un processo autonomo territoriale, Daesh sopravviverà. Quello che è successo è nato da un processo geopolitico sbagliato degli americani. Dobbiamo riprendere le cose con una visione allargata, fuori dal discorso della “hard security” e dai bombardamenti che non sono sufficienti. Dobbiamo curare l’aspetto culturale, proteggere le diversità religiose, proteggere le minoranze, si tratta di processi che vanno aiutati. Ognuno di noi deve aiutare tali processi. Non vedo però una soluzione semplice per la Siria. C’è una complessità terribile. Bisogna avere una visione sulla Siria allargata, sofisticata, con un intervento della comunità internazionale. Bisogna prima di tutto togliere l’agenda personale di questa leadership e guardare alla sicurezza globale del Mediterraneo; con il suo hinterland africano, il suo hinterland arabo, ma luogo del confronto geopolitico. L’Europa ha una dimensione culturale identitaria musulmana piaccia o non piaccia. E in nome della laicità non posso togliere dalla mappa sociale dell’Europa l’Islam, sono oramai milioni i musulmani nella Ue. Un elemento questo ultimo che se valorizzato appieno è un arricchimento per l’Europa del suo “prodotto indentitario”. In Europa abbiamo la terza generazione di musulmani e chiudere gli occhi di fronte a questa evidenza culturale è nocivo. Tutti siamo responsabili di questa realtà: noi paese di origine di queste persone, e i paesi di accoglienza nel non essere in grado di integrare. Si tratta di un fallimento del modello europeo. Modello che va ripensato, perché oramai la sfida è combattere l’insicurezza nel Mediterraneo. Dobbiamo dare alla Siria e al Mediterraneo ragioni di speranza, non possiamo vivere in Europa con il crollo della crescita e nel sud del Mediterraneo con un destino chiuso. Ci sono possibilità intelligenti, paradigmi nuovi che possiamo usare per rilanciare un altro progetto per il Mediterraneo per instaurare la competitività. Ma prima di tutto dobbiamo stabilizzare il Mediterraneo. Al primo punto c’è il conflitto palestinese israeliano. Senza risolvere questa situazione non possiamo pensare che si possa dare una risposta al conflitto siriano, iracheno, libico, maliano. Questa centralità della questione palestinese non si può dimenticare.
AGC COMMUNICATION: Mediterraneo, Marocco, Africa: ci spieghi i rapporti tra Marocco e Africa subsahariana
AMBASCIATORE: Partiamo da un dato storico. Il Marocco è un paese, il più vecchio come sistema nazionale centrale, come sovranità continua. Sono 14 secoli di continuità storica di un sistema monarchico. E una società nata sotto questo profilo storico. Siamo dunque un paese di “apertura” incredibile. Nel senso che noi siamo nel mondo da molti secoli. La prima ambasciata del Marocco in Inghilterra risale al 1600. per esempio. Dunque i riferimenti nostri sono i riferimenti di apertura. La nostra storia sull’Africa è ricchissima. L’Islam in Africa è stato portato dal Marocco e da nessun altro, 500 anni fa, 600 anni fa. Quindi quando si parla di Marocco si parla di una realtà identitaria dove la componente Africa è molto importante. Nel preambolo della costituzione del Marocco è scritto chiaramente: che il Marocco è pluridentitario. Il popolo del Marocco ha scelto di non scegliere una identità. Siamo arabi è vero, africani, mediterranei, vero. Abbiamo riconosciuto la componente ebraica della nostra società. Perché non si può togliere una identità. Nel fare questo passo epocale nella stesura della costituzione, ovvero riconoscere la pluridentità, ora questa fa parte della società marocchina. Abbiamo una visione a lungo termine. Per far capire il concetto a chi ci legge basta un dato: la popolazione attiva africana nel 1950 era più o meno di 120 milioni; nel 2050 questa popolazione sarà un miliardo e duecentomila. Negare questo fatto demografico è un’azione da miopi. E da qui nascono gli accordi di “Rabat”. Che rivedono e ripensano anche il concetto di migrazione e che puntano molto sul partenariato strategico. Non abbiamo la forza di sostenere 1miliardo e duecentomila persone, ma abbiamo fatto in modo di essere un ponte. Con il desiderio e la speranza che l’euro si svegli un giorno e capisca che il futuro dell’Europa sta nel riuscire a cogliere al sfida del Mediterraneo, ovvero il partenariato strategico. Altrimenti non c’è crescita per l’Europa e il modello di crescita del dopoguerra è oramai morto. Per mancanza di demografia attiva in Europa. Non potete sopravvivere a un rapporto demografico di attivi e inattivi del livello attuale. È un suicidio. L’Europa con la tecnologia, la governance, l’esperienza, il know how, è in grado di entrare in risonanza positiva con l’Africa. Per risolvere una sfida umana terribile.
AGC COMMUNICATION: Come si sposano le misure draconiane sull’immigrazione e l’identità islamica europea?
AMBASCIATORE: L’Europa vive la dialettica della paura. Anche noi abbiamo paura dell’Europa. E la Ue ha paura di noi. Questo significa che il campo strategico è dominato dal fattore emozione piuttosto che dal coraggio. L’atteggiamento dei Paesi europei di fronte alle migrazioni è fatto come di reazione emozionale e non è lì che risiede il significato profondo del progetto europeo. È in contraddizione con il tratto di Lisbona e con altri trattati europei. L’Europa ha perso di vista il progetto europeo. I radicalismi europei, ovvero i super conservatori, a destra come a sinistra, stanno rovinando il progetto europeo. Perché il progetto europeo non ha dato risposta al cittadino europeo per il suo futuro. Alla sua vita quotidiana. Si tratta di riprendere il percorso dei padri fondatori dell’Europa e di mettere avanti a tutto la visione d’Europa. Che al momento manca all’Europa. Ma per avere una visione ci vuole una leadership. Per avere una leadership bisogna restaurare la democrazia nella sua etica originaria. Anche se questo discorso può sembrare un’utopia. Io credo al progetto europeo. E credo che la maggioranza del popolo europeo è per l’Europa. Ma dobbiamo dare a questa maggioranza, ragioni di speranza. E in questa ragione di speranza, l’Italia ha un ruolo centrale. Perché l’Europa ha bisogno di questi posti di avanguardia geografica che si esplicano nel contatto carnale con la realtà Africa. Le due regioni più prossime all’Africa, al contatto, sono l’Italia e la Spagna. L’Italia ha un ruolo “imperativo” in questa nuova visione europea, ovvero guardare a Sud per salvare l’Europa. Se pensiamo alla storia, vediamo come l’Impero romano aveva la sua centralità a Roma e non in un’altra area geografica. Non va dimenticata la storia, il legame mondo arabo-Italia è antico, un esempio tra tutti: il primo Corano tradotto è stato tradotto in Italia.
AGC COMMUNICATION: Altro esempio, la scuola poetica siciliana nasce sulle tracce di quella araba… Ma qual è il rapporto tra Marocco e Italia? Non solo in termini politico – economici, ma a livello culturale? Qual è il dato culturale che unisce Italia e Marocco?
AMBASCIATORE: Tanti i fattori che legano la Repubblica italiana al Regno del Marocco. Al primo posto metterei la storia. Abbiamo accordi millenari tra Italia e Marocco. Da quando l’Italia non esisteva. Con la repubblica di Venezia, per esempio. Alcuni elementi del nostro patrimonio, industriale, artistico, etc., li dobbiamo all’Italia. La prima manifattura, il primo impianto industriale, che risale al ‘700, la “macchina” e l’arsenale provengono dalla Repubblica marinara di Venezia. La prima nave comprata dal Marocco è stata acquistata dall’Italia, a Livorno. Casablanca come patrimonio liberty è dovuto a Genova, ai tanti italiani che hanno vissuto in Marocco alla fine del’800 inizio del ‘900. Abbiamo dunque legami importanti con la popolazione italiana; dunque abbiamo valori comuni. Quando l’Italia come concetto nazionale non esisteva, noi chiamavamo l’Italia, il Paese amico. Oggi c’è di nuovo un interesse da parte dell’Italia e degli italiani per il Marocco e viceversa. In Italia abbiamo una comunità importante 69182 imprenditori marocchini operano in Italia; maggiormente di età compresa fra i 30 e i 49 anni. Il settore è quello commerciale e la regione con più presenze è la Lombardia, seguita da Piemonte, Campania, Toscana ed Emilia Romagna. Il 12, 5% sono donne. Abbiamo, inoltre, una generazione di giovani marocchini laureati in Italia, avvocati, medici. C’è un processo naturale che corrisponde a ciò che era il nostro modo di convivere insieme. E questo fa ben pensare ai rapporti futuri tra Italia e Marocco. Ciò che stiamo vedendo è molto più forte di ciò che forse la stampa, i media in genere, hanno percepito. Secondo me entro i prossimi 5 o 10 anni ci saranno importanti sinergie.
AGC COMMUNICATION: Sicurezza e diritti umani. Il Marocco ha anticipato i tempi rispetto ad altri paesi. Soprattutto parlando di lotta al terrorismo. Con l’Italia che tipo di rapporto c’è non solo in termini di sicurezza fisica ma di quadro legislativo, culturale, religioso?
AMBASCIATORE: Il dialogo tra Paesi presuppone un elevato grado di complessità. Complessità che si ritrova anche nei rapporti tra Marocco e Italia. Alcune cose attinenti alla cultura italiana ad esempio non piacciono al Marocco, vedi questione del Sahara. Per quanto riguarda l’immigrazione, Italia e Marocco hanno stipulato un accordo quando Napolitano era ministro degli Interni. Un accordo molto ambizioso. Dal punto di vista politico si parla di accordi tra UE e Marocco, e naturalmente l’Italia è molto interessata. Come ad esempio in materia di libero scambio. Una serie di accordi basati su una nuova mappa economico-commerciale. Rapporti dunque molto ricchi. Che si basano, come detto in precedenza, su valori comuni. E questo è un caso molto particolare tra Italia e sponda sud del Mediterraneo e ciò che il governo italiano sta riprendendo è questa natura speciale con il Marocco. Non siamo un paese della sicurezza energetica per l’Italia, ma siamo pazienti, in quanto sappiamo che la politica e il dialogo è diverso tra un paese che può garantire sicurezza energetica all’Italia e uno no. Sappiamo che comunque un giorno vi saranno delle convergenze in modo molto chiaro. Senza una base pregiudiziale ma anzi con una lettura molto a breve termine che uscirà dall’equazione della sicurezza energetica. Oggi stiamo andando verso un rapporto di tipo strategico ma molto a più lungo termine. Dove c’è la condivisione della sfida competitiva. Abbiamo Asset e opportunità straordinarie da sfruttare. E Italia e Marocco hanno deciso di entrare in questa modalità strategica.