
Di fronte al caos e alla frammentazione crescente all’interno della Striscia di Gaza, è emersa una nuova forza armata che sta attirando l’attenzione di molti analisti e governi internazionali: le “Popular Forces”, note anche come Anti-Terror Service, una milizia palestinese a forte carattere clanico, armata e sostenuta, secondo molteplici fonti, da Israele.
A capo di questo gruppo c’è Yasser Abu Shabab, 31 anni, nato a Rafah nel 1993 e membro della tribù beduina Tarabin, attiva storicamente nel contrabbando di sigarette fra Egitto e Gaza. Con un passato segnato da attività criminali, Abu Shabab è stato detenuto per anni da Hamas per reati legati al traffico di droga, hashish e psicofarmaci. Nel 2007 Abu Shabab è stato arrestato da Hamas, accusandolo di essere un agente dell’Autorità Nazionale Palestinese a Rafah e di collaborare con l’ala di intelligence di Fatah.
La sua liberazione sarebbe avvenuta il 7 ottobre 2023, in concomitanza con gli attacchi di Hamas contro Israele. In quell’occasione centinaia di detenuti sono stati liberati o sono fuggiti dalle prigioni, tra cui diversi capi clan e noti criminali. Da quel momento Abu Shabab ha cominciato a ricostruire una rete armata intorno alla sua figura.
La milizia prende forma nei mesi successivi al crollo parziale del potere di Hamas nella zona sud della Striscia, nel 2024, specialmente nel quadrante orientale di Rafah, dove Israele ha progressivamente stabilito una forte presenza militare.
Composta da circa trecento uomini, la milizia integra ex detenuti, combattenti delle forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e altri delusi dal dominio di Hamas. Il gruppo si presenta come una forza di sicurezza locale anti-Hamas che protegge gli aiuti umanitari, coordina il traffico al valico di Kerem Shalom e combatte il terrorismo sempre di Hamas.
Media israeliani di opposizione, inglesi e americani, riportano che Israele fornirebbe armi e protezione alla milizia di Abu Shabab. Alcuni combattenti delle Popular Forces sarebbero stati equipaggiati con kalashnikov sequestrati a Hamas e avrebbero agito sotto copertura o con la protezione dell’IDF.
Il primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ammesso che alcuni clan palestinesi sono stati attivati per contrastare Hamas, suggerendo un piano volto a creare una contro-insorgenza interna a Gaza. Il tutto, dichiara Hareetz, senza ottenere il consenso della Knesset.
Tuttavia, lo stesso Abu Shabab nega legami diretti con Israele, affermando che le armi in possesso della sua milizia sono state raccolte localmente e che non ha contatti recenti con ufficiali israeliani. Ha invece confermato contatti con i servizi di sicurezza dell’ANP, negando però qualsiasi sostegno finanziario da parte del governo di Ramallah.
Le Popular Forces sono finite al centro di pesanti accuse di saccheggio. Solo negli ultimi mesi, numerosi convogli dell’ONU e della Croce Rossa sarebbero stati derubati o intercettati da membri della milizia, spesso con la copertura dell’IDF. Le autorità israeliane non hanno confermato ufficialmente, ma l’episodio ha suscitato proteste internazionali.
Abu Shabab ha giustificato tali azioni accusando Hamas di appropriarsi sistematicamente degli aiuti umanitari, e ha promesso di ripristinare la giustizia nella distribuzione del cibo e dei farmaci.
Non è tardata ad arrivare la risposta di Hamas. Secondo fonti locali e internazionali, negli ultimi mesi Hamas ha ucciso almeno cinquanta membri delle Popular Forces, definendoli collaborazionisti di Israele. Diversi attentati sono stati diretti contro lo stesso Abu Shabab, che è sopravvissuto ad almeno due tentativi di assassinio.
Una miccia per la guerra civile? L’emergere di milizie come le Popular Forces alimenta il timore di una frammentazione incontrollata della Striscia di Gaza, con il rischio di una guerra civile intra-palestinese. Politici israeliani come Avigdor Lieberman hanno espresso forti riserve sulla strategia di armare clan o milizie tribali, ritenendola un rischio che potrebbe favorire la nascita di un nuovo gruppo estremista nei territori palestinesi.
Alcuni hanno ipotizzato persino legami tra Abu Shabab e frange jihadiste come l’ISIS, ipotesi smentita dallo stesso leader, che l’ha definita come propaganda orchestrata da Hamas per delegittimarlo. Per comprendere questo aspetto è utile analizzare, seppur brevemente, la storia della tribù Tarabin.
I Tarabin, importante tribù beduina della penisola del Sinai che conta circa 30.000 persone, vantano una lunga storia intrecciata con il contrabbando, in particolare con il trasporto di merci tra il Sinai e la Striscia di Gaza. Il coinvolgimento della tribù nel contrabbando è stato anche un fattore determinante nel suo passato conflitto con la provincia del Sinai dello Stato Islamico (IS-SP). Le operazioni di DAESH nel Sinai settentrionale hanno smantellato le reti di contrabbando dei Tarabin, innescando scontri tra le due parti. I Tarabin alla fine hanno dichiarato guerra all’IS-SP. Le radici del conflitto risiedono nel controllo territoriale. L’IS ha applicato la Sharia nelle aree un tempo dominate dai Tarabin e ha vietato il contrabbando di tabacco a Gaza, un commercio del valore di milioni di shekel al mese. Il divieto, insieme agli sforzi di DAESH per sradicare le rotte del narcotraffico tra Egitto e Gaza, è stato percepito dai Tarabin come un attacco diretto alla loro sopravvivenza economica, provocando una reazione tribale. È importante notare che non tutte le tribù del Sinai hanno sostenuto i Tarabin in questo conflitto. Le tribù Sawarka, Ramilat e Barikat hanno continuato a fornire manodopera e supporto all’ISIS-SP. In risposta alla crescente instabilità, un’operazione antiterrorismo egiziana del 2018 ha iniziato ad armare membri della tribù Tarabin e a coinvolgerli negli sforzi per cacciare l’ISIS dal Sinai.
Il recente dibattito mediatico su questo tema si è intensificato in seguito a una dichiarazione dell’ex Ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman, che ha affermato che la milizia fosse allineata con lo Stato Islamico. Si ritiene plausibile una convergenza di interessi tra i due gruppi, ma al momento non si può affermare che le Popular Forces possano essere un’emanazione ex novo di DAESH nella Striscia di Gaza. Per tre semplici motivi. Il primo riguarda le divise indossate dai miliziani di Abu Shabab, con la patch di “Anti terror Service”; i seguaci del Califfato non si identificano con nessun esercito creato dall’uomo perché loro si ritengono i “soldati di Allah”. Il secondo motivo riguarda il logo della milizia; logo che presenta la bandiera della Palestina e non quella della Shahada islamica. Infine, lo Stato Islamico non si allineerebbe mai ideologicamente con un gruppo sponsorizzato da Israele.
Fonti inglesi dichiarano comunque la presenza all’interno delle Popular Forces di Issam Nabahim, trentatreenne proveniente dal campo profughi di Nuseirat che ha combattuto per DAESH nel Sinai contro l’esercito egiziano, e di Ghassan al-Dheini, figlio di Walid al-Dheini, operativo di ISIS ucciso proprio da Hamas.
Il collegamento tra Popular Forces e DAESH resta comunque degno di attenzione per gli sviluppi futuri. Se Israele riuscirà ad arginare, o a smantellare, il gruppo una volta terminato il suo scopo, allora si potrà dire che si è trattato di un mezzo ideato dal Mossad per scalzare definitamente Hamas. Se invece la milizia si renderà porosa alle infiltrazioni salafite ed estremiste con il proseguire della guerra in corso, allora non si può escludere una strumentalizzazione dello Stato Islamico per tornare in auge proprio nei territori palestinesi e portare avanti la causa palestinese a modo suo implementando la Sharia.
In conclusione, la figura di Yasser Abu Shabab incarna la crisi profonda e senza precedenti che attraversa Gaza. Una miscela esplosiva di vuoti di potere, rivalità interne, interessi esterni e crisi umanitaria. La sua milizia, le Popular Forces, rappresenta al tempo stesso un fenomeno di resistenza locale e un pericoloso esperimento di militarizzazione settaria, con esiti ancora imprevedibili per il futuro dell’intero Medio Oriente.
Beatrice Domenica Penali
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