INDIA. Nuovo tonfo per la rupia, ma le altre monete asiatiche non stanno meglio

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La rupia indiana ha toccato il 29 giugno un minimo storico, portando le sue perdite a oltre il 6% rispetto al dollaro quest’anno, mentre si ritiene che debba ancora scendere. La valuta si è indebolita tra le preoccupazioni per l’aumento dell’inflazione e la scarsa crescita, anche se la banca centrale ha venduto dollari per limitare le perdite.

La rupia parzialmente convertibile ha chiuso a 78,9650/9750 per dollaro dopo aver toccato un minimo storico di 78,97; il 28 giugno la valuta aveva chiuso a 78,77, riporta AF. Secondo gli analisti e i trader, la banca centrale indiana potrebbe ricorrere maggiormente agli interventi sul mercato a pronti, che farebbero diminuire le riserve della banca centrale, o potrebbe semplicemente scegliere di lasciare che la rupia si indebolisca in base ai fondamentali macroeconomici.

«Riteniamo che la pressione di deprezzamento sull’INR continuerà a persistere nell’anno fiscale ’23», si legge in una nota di QuantEcon Research «l’Inr potrebbe indebolirsi verso 81 per un dollaro prima della fine dell’anno fiscale ’23». Finora gli investitori istituzionali stranieri hanno venduto azioni locali per 28,4 miliardi di dollari nel 2022 e hanno scaricato obbligazioni per 2,3 miliardi di dollari. Le azioni indiane sono scese dopo quattro sedute, mentre le preoccupazioni per gli alti prezzi del petrolio e l’inflazione sono tornate in primo piano.

In una nota di Emkay Wealth Management si legge: «La rupia indiana è stata influenzata negativamente soprattutto dal ritiro dei fondi dal mercato azionario da parte degli investitori istituzionali stranieri, dall’aumento dei prezzi del greggio, dal deterioramento della bilancia commerciale e dal rafforzamento del dollaro».

Le valute e le azioni asiatiche sono scese a causa della debolezza dei dati economici statunitensi che ha intaccato il sentimento di rischio e ha messo in ombra l’ottimismo per l’allentamento di alcune restrizioni di Covid-19 in Cina.

Questa settimana i trend porterebbero a prevedere che le valute asiatiche si adagieranno nel breve termine, e che un’eventuale tregua dalle perdite del primo semestre potrà arrivare solo sotto forma di una normalizzazione politica attiva da parte delle banche centrali regionali, combinata con la ripresa cinese.

Un mix di prezzi elevati delle materie prime e di riduzione dei differenziali dei tassi di interesse ha messo sotto pressione la maggior parte delle valute asiatiche. Per cinque mesi consecutivi la valuta straniera è uscita dall’Asia, Cina esclusa, a fronte della riluttanza delle banche centrali ad aumentare i tassi.

Il dollaro taiwanese, il won della Corea del Sud e il peso filippino si sono indeboliti di oltre il 6,8% rispetto al forte dollaro statunitense quest’anno. I crescenti timori di una recessione globale hanno costretto gli investitori a fuggire dalle azioni e dagli asset asiatici più rischiosi a favore delle obbligazioni e del dollaro, che di recente ha toccato un massimo di quasi vent’anni rispetto alle principali valute.

Sebbene le banche centrali asiatiche siano diventate più aggressive di recente per controllare l’impennata dei prezzi, l’attenzione alla crescita e l’inflazione relativamente controllata hanno fatto sì che i rialzi dei tassi non siano stati così aggressivi come quelli della Federal Reserve statunitense.

Lucia Giannini