In Russia ritorna lo stile sovietico

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RUSSIA – Mosca. Nel dicembre del 2011, dopo le elezioni parlamentari, la Russia fu testimone di una protesta di massa avvenuta sia a Mosca che nelle altre principali città denominata la “rivoluzione della neve”. Per la prima volta dalla caduta dell’Unione Sovietica, decine di migliaia di persone marciarono lungo le strade della capitale protestando in maniera pacifica. Nel febbraio del 2012, circa 35 mila persone, la maggior parte della quali munite di nastri bianchi, si riunirono lunga la Garden Ring Road di Mosca in una marcia di protesta.

Intellettuali, studenti, impiegati, uomini d’affari della piccola e media impresa dimostravano il loro scontento nei confronti della politica del governo e diedero vita ad un gruppo di opposizione politica guidato da giornalisti, scrittori ed attivisti i quali per anni avevano combattuto il regime di Vladimir Putin definito “autoritario”. La voce di questa “classe politica” emergente era rappresentata da Alexei Navalny, blogger che aveva dato vita ad una vera campagna contro la corruzione dei rappresentanti del governo i quali, secondo la sua opinione, avevano un posto in parlamento grazie all’appoggio della TV, della polizia e dei giudici corrotti. Con gli eventi di febbraio, secondo Navalny, sembrava che la Russia fosse pronta ad un cambio radicale in cui la voce di milioni di persone potesse essere ascoltata ed in cui personaggi politici corrotti potessero lasciare il posto a figure più meritevoli.

L’allora presidente Dmitri Medvedev accettò quindi di incontrare i leader della protesta, ascoltare le loro proposte per poi ignorarle attraverso una riforma ricordata per lo più per aver tagliato il numero delle persone necessarie per aprire un partito da 50mila a 500. Concessioni minori effettuate per placare gli animi ai quali seguirono la rinuncia ad una ricandidatura da parte di Medvedev alla carica presidenziale che di fatto permise a Vladimir Putin di ottenere la rielezione per il terzo mandato presidenziale e di avviare la sua “guerra” contro i protestanti.
Le elezioni presidenziali furono monitorate attraverso 650mila persone e mediante l’istallazione di una webcamera su ogni postazione (costo totale circa 500 milioni di dollari) collegata ad un sito in cui la nazione poteva controllare che le votazioni si svolgessero democraticamente e senza brogli. Con una fatica maggiore rispetto alle precedenti elezioni, alla fine della giornata elettorale Vladimir Putin fu proclamato per la terza volta presidente della Federazione Russa dal suo “delfino” Dmitri Medvedev. 

Un giorno dopo la cerimonia che investiva Putin della carica presidenziale, le proteste che si tennero a Mosca furono duramente respinte dalle forze dell’ordine russe e culminarono in una vera e propria battaglia urbana che permise di fatto a Putin di dirigersi verso il Cremlino percorrendo le strade vuote di Mosca senza incontrare alcuna manifestazione. Un ritorno al passato sancito anche dalle accuse del neoeletto nei confronti degli Stati Uniti percepiti come istigatori della protesta moscovita: primo atto della nuova tattica politica e della retorica russa che ricalca la tradizionale linea sovietica.
Rinvigoriti dalla vittoria di Putin, i deputati approvarono velocemente ogni sanzione “dura” contro coloro che avessero preso parte a raduni di massa non consentiti, decretarono la censura di Internet con la “motivazione” di voler proteggere i bambini dalle oscenità presenti sulla rete, diluirono le riforme avviate da Medvedev nel 2011 e restrinsero le attività delle organizzazioni non governative che ricevevano fondi stranieri.
Le persone che parteciparono alla protesta del 6 maggio e agli scontri con le forze dell’ordine furono accusate di “attacco contro la polizia” (12 di questi sono in attesa di giudizio); la repressione punitiva russa toccò anche il mondo della musica quando tre membri di una punk band femminile furono accusate e incarcerate con una sentenza a due anni di reclusione per aver eseguito una performance presso la Cattedrale di Cristo il Salvatore di Mosca in cui chiesero alla Vergine Maria di “scacciare via Putin” dalla Russia.
Gli appartamenti degli oppositori politici furono perquisiti dalle forze di polizia, scene scomparse dalla memoria e che rimandano agli anni ’70 ed al periodo sovietico, mentre Navalny, il blogger che aveva dato voce alle proteste, fu accusato di differenti crimini economici.
Azioni repressive che hanno avuto il loro effetto visto che le manifestazioni successive hanno registrato una minore affluenza: in ottobre soltanto 80mila persone votarono per eleggere il Consiglio per la Coordinazione dell’Opposizione, un organo di 45 persone il cui potere e peso politico è troppo inferiore a quello del presidente.

Il potere di Putin e la sua fiducia nei propri mezzi ha raggiunto livelli massimi all’interno della Federazione come dimostra la conferenza stampa durata quattro ore e mezza di giovedì 20 dicembre in cui il presidente russo ha riaffermato la propria leadership all’interno della Federazione Russa dimostrando capacità di risposta anche alle domande e palesando un atteggiamento fiducioso capace di fargli ignorare la richiesta di interruzione della conferenza da parte del portavoce Dmitry Peskov a causa della sua lunga durata. Una conferenza stampa, definita da alcuni media locali “una maratona” perché durata quattro ore e mezza, che si è tenuta al World Trade Center di Mosca ed ha visto la partecipazione di 1200 giornalisti accreditati, alcuni dei quali hanno acceso un dibattito con Putin su argomenti di natura economica e politica e che ha preceduto di sole 24 ore l’approvazione da parte della  Camera bassa del Parlamento del disegno di legge riguardante le persone che hanno violato in maniera diretta i diritti dei cittadini della Russia e non potranno entrare nel Paese e loro operazioni bancarie nelle banche nazionali saranno limitate. Tale decreto è stato visto come una risposta alla norma statunitense approvata dal Senato, la  Magnitskij,  la quale impedisce ai funzionari russi accusati di violazione dei diritti umani di avere un visto e impone il congelamento delle attività commerciali.
Le proteste che seguirono l’approvazione immediata di tale decreto furono facilmente messe a tacere dallo stesso presidente russo il quale ha ostentato nuovamente sicurezza e abilità di risposta a chi lo accusava di inasprire i rapporti con gli Stati Uniti e di dare vita ad un ritorno al clima di tensione dell’Unione Sovietica supportando le proprie decisioni con i dati del sondaggio condotto dalla Public Opinion Foundation il quale decretava che il 56% dei russi era in favore del disegno di legge e soltanto il 21% era contro.

Con il suo terzo mandato Putin ha dimostrato di aver compreso quale sono le carte da giocare per far leva sui sentimenti dei russi e per fare in modo che l’opinione pubblica appoggi ancora il suo stile di governo: valori tradizionali, appoggio all’ortodossia cristiana e posizioni anti-statunitensi. Tre elementi che hanno permesso al presidente di arrestare il processo democratico in Russa e di far tornare la Federazione ai tempi dell’Unione Sovietica, in cui i dissidenti venivano eliminati ed in cui il nemico numero uno per il Paese era al di fuori dei confini nazionali e costantemente rappresentato dagli Stati Uniti.