HORMUZ. L’Australia, senza benzina, manda le navi a pattugliare lo Stretto

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L’Australia ha annunciato che si unirà agli Stati Uniti e al Regno Unito nel pattugliamento dello Stretto di Hormuz, una decisione politica volta a rafforzare la delicata situazione della sicurezza energetica di Canberra. Il primo ministro Scott Morrison ha annunciato la decisione il 21 agosto, dopo settimane di discussioni, affermando che le recenti interruzioni della navigazione nella regione rappresentano una minaccia per gli interessi nazionali dell’Australia.

Stando ai dati riportati da Asia Times, si stima che il 16% delle consegne di greggio australiano e il 25-30% delle sue importazioni di petrolio raffinato viaggiano attraverso lo Stretto di Hormuz, teatro marittimo oggi bollente. Morrison ha annunciato un dispiegamento «limitato e limitato nel tempo» di una fregata, aerei di sorveglianza e circa 200 uomini per sei mesi.

La mossa ha il sostegno politico bipartisan perché così l’Australia cerca nuovi modi per rafforzare la sua scarsa sicurezza energetica. Una possibile ragione per il dispiegamento dell’Australia potrebbe essere quella di ottenere il favore degli Stati Uniti per accedere alla sua Strategic Petroleum Reserve, Spr, la più grande riserva di emergenza al mondo per lo stoccaggio di carburante con una capacità di 727 milioni di barili. Washington aveva apparentemente sospeso l’accesso alle riserve di carburante nei negoziati sui pattugliamenti lungo Hormuz.

Così si potrebbe potenzialmente sostenere la bassa sicurezza delle riserve di combustibile australiane, che attualmente è molto al di sotto dei 90 giorni previsti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia. L’Australia è stata inadempiente per 88 mesi consecutivi a giugno. L’anno scorso, le scorte del paese sono scese brevemente sotto i 50 giorni. Per assurdo l’Australia è il più grande esportatore di gas naturale liquefatto del mondo, uno dei principali esportatori di carbone e paese con la terza risorsa di uranio più grande del mondo, ma ha grossi problemi con le forniture di combustibile fossile.

L’Australia, che importa la maggior parte del suo combustibile, consuma 1,1 milioni di barili di petrolio al giorno ma può fornire solo il 18% dal proprio stock di raffineria. La maggior parte del petrolio prodotto localmente proviene dal bacino di Carnarvon, nell’estremo nord dell’Australia occidentale, e viene poi inviato in Asia per la raffinazione. Tuttavia, le più recenti statistiche australiane sul petrolio, pubblicate questa settimana, mostrano che l’Australia non rispetta i parametri Iea. 

La tensione di Hormuz ha fatto sì che Canberra abbia avuto solo 76 giorni di scorte e l’Australia non ha una riserva strategica di petrolio o piani per costruirne una. Una delle ultime grandi riserve petrolifere inutilizzate dell’Australia si trova nella Grande Baia Australiana e potrebbe contenere miliardi di barili e sostenere l’industria e i relativi posti di lavoro.

Lo sviluppo di questo bacino seppur lunga, secondo il ministro delle Risorse Matt Canavan, sarebbe una soluzione a medio termine, ma l’Australia non ha più la capacità di raffinazione: il paese ha solo quattro raffinerie attualmente in funzione, molte delle quali sono state chiuse dal 2000 dopo che sono state ritenute antieconomiche rispetto agli impianti più economici dell’Asia orientale. Una decisione connotata da effettiva mancanza di lungimiranza. 

Nel 2009, il governo federale ha sì valutato la sicurezza energetica fino al 2018 come “alta” e “moderata” fino al 2023, ma nel 2009, le regioni ricche di energia e lo Stretto di Hormuz sembravano molto più stabili di oggi, ed ecco la decisione di Canberra di mandare le sua navi all’altro capo del mondo.

Graziella Giangiulio