HIMALAYA. Le cause strategiche del conflitto tra Cina e India

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Mentre la Cina e l’India si scontrano sulle vette himalayane, è sempre più chiaro che il conflitto riguarda la rivalità strategica tra i due paesi asiatici e più specificamente il desiderio della Cina di punire l’India per aver rifiutato la sua Belt and Road Initiative.

La Cina, a quanto pare, è desiderosa di mandare un messaggio ai vicini dell’India su chi ora comanda nella regione indopacifica, soprattutto in un momento in cui l’India e molti dei suoi alleati e partner lottano per contenere le epidemie di Covid-19 in patria. Ma se è comprensibile che la Cina sia assertiva verso l’Occidente, preoccupato per le crisi sanitarie, lo sono meno le motivazioni per cui Pechino voglia entrare in conflitto con altri Paesi dell’area, riporta Asia Times.

A quanto pare Pechino sta alzando la voce sul confine himalayano, nel Mar Cinese Meridionale e su Taiwan, per vedere quali nazioni sono disposte a criticare apertamente la posizione più assertiva di Pechino e quali rimangono reticenti. I media cinesi hanno evitato di coprire in dettaglio la situazione di stallo della montagna del Ladakh, anche se The Global Times ha pubblicato avvertimenti all’India.

Si tratta di commenti destinati a un pubblico straniero, specialmente indiano, ai quali è stato ricordato la «schiacciante sconfitta dell’India» nella guerra di confine tra le due parti nel 1962. In un editoriale del 22 giugno, The Global Times ha scritto che «vorremmo avvertire i febbrili nazionalisti indiani di non condurre Nuova Delhi sulla strada sbagliata, e non permettere all’India di ripetere gli errori del passato».

A differenza del 1962, Pechino ora non solo ha alleati regionali ma, come il giornale ha sottolineato anche in un editoriale del 22 giugno, la Cina è «un Paese industrializzato con un Pil cinque volte superiore a quello dell’India, spende per la difesa più dell’India, e la maggior parte delle armi della Cina sono prodotte internamente, ma tutte le armi dell’India sono importate».

Anche se molto di questo può essere vero, l’India non è lo stesso paese militare mal preparato che era nel 1962. In effetti, la storia più recente dimostra che l’India è in grado di resistere alla Cina.

In effetti, l’India ha rafforzato e modernizzato le sue forze armate, ha formato una delle più estese e sofisticate agenzie di intelligence strategica esterna del mondo, e, non da ultimo, è diventata una potenza nucleare. Con più di 1,4 milioni di uomini e quasi un milione di riserva, l’India ha ora il più grande esercito di volontari al mondo. La produzione indiana di materiale di difesa è diminuita negli anni ’90, ma si è ripresa più di recente, con un valore di 1,46 miliardi di dollari di esportazioni di materiale militare nel 2018-2019.

Nessuno vuole un conflitto, ma le scaramucce di confine non si risolveranno facilmente. Il problema è la diversa interpretazione del confine: una è la linea esterna Ardagh-Johnson Line, che prende il nome da due amministratori coloniali del XIX secolo e segue il confine come viene oggi disegnato sulle mappe ufficiali indiane; l’altra è la MacCartney-MacDonald Line, che prende il nome da altri due funzionari britannici, che segue approssimativamente le rivendicazioni della Cina.

L’area in discussione, l’Aksai Chin, è così remota che solo nel 1957 l’India scoprì che la Cina aveva costruito un’autostrada che collegava il Xinjiang con Lhasa in Tibet attraverso di essa; e anche la valle di Galwan, dove si è svolto lo scontro di metà giugno, fu un punto focale durante la guerra del 1962. L’attuale Lac oggi si trova a ovest della MacCartney-MacDonald Line. Ma se le mappe indiane sono quelle ufficiali, quelle della Cina vengono cambiate di frequente con Pechino che spinge per un nuovo ordine mondiale con la Cina al centro. Testando i confini, dall’Himalaya al Mar Cinese Meridionale, Pechino sta valutando le risposte e agendo di conseguenza per massimizzare le sue affermazioni.

Una guerra a tutto campo con l’India è improbabile, ma la controversia potrebbe aggravarsi nel settore commerciale: da febbraio, le esportazioni dell’India verso la Cina sono scese del 13,7% a 1,1 miliardi di dollari rispetto allo stesso periodo del 2019, mentre le spedizioni verso Hong Kong sono diminuite del 62,4% a 681 milioni di dollari. E Nuova Delhi ha de facto bloccato l’import dalla Cina.

Antonio Albanese