FILIPPINE. L’ASEAN preoccupata per la guerra nucleare di Pyongyang

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Le tensioni crescenti sulla penisola coreana sono state all’ordine del giorno del meeting annuale dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico, Asean, svoltasi a Manila il 29 aprile scorso.

L’incontro ha avuto inizio con un imponente dispiegamento di sicurezza, dopo che 14 persone erano state ferite da un IED proprio a Manila. Le autorità filippine hanno tuttavia respinto ogni collegamento tra l’attentato e il meeting Asean. L’interesse Asean per la rovente questione della contrapposizione tra Corea del Nord e Stati Uniti deriva naturalmente dai timori per gli effetti di una possibile guerra nucleare per ora minacciata solo a parole. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha avvertito Pyongyang di conseguenze terribili se avesse effettuato un test nucleare e il 29 aprile la Corea del Nord, in risposta, ha testato un missile balistico poco dopo che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva avvertito Pyongyang di fermare le provocazioni.

Prima del trentesimo vertice Asean di Manila, era stata fatta circolare una bozza di dichiarazione in cui si sollecitava la Corea del Nord a «cessare immediatamente tutte le azioni che violano i propri obblighi internazionali e violano le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (…) Le azioni della Corea del Nord hanno portato ad una escalation di tensioni che possono influenzare la pace e la stabilità in tutta la regione», si legge nella dichiarazione.

Quella di fine aprile è stata la prima delle due riunioni Asean previste quest’anno, la prossima riunione avrà luogo a novembre, nuovamente nella capitale filippina.

La struttura Asean ha davanti a sé una serie di sfide politico-economiche legate alla rinnovata importanza geopolitica dell’area. La prima è sicuramente il blackout della politica estera di Trump e l’impatto della nuova amministrazione statunitense sulla sicurezza nella regione Asia Pacifico.

A due mesi dall’insediamento questo blackout in politica estera è già entrato in vigore, lasciando i leader Asean nel dubbio sulle intenzioni statunitensi e di fronte ad una assertività di Pechino sempre più presente nell’area, strategicamente rilevante dal punto di vista economico.

L’Asean sta quindi lavorando per bilanciare l’influenza prevalente di Cina e Usa per salvaguardare i propri interessi, un compito che potrebbe risultare sempre più difficile, grazie alla politica proprio della nuova amministrazione statunitense.

Come l’Ue, l’Asean ha il potenziale per sviluppare un proprio peso economico complessivo, tanto che se fosse considerata un singolo paese, l’organizzazione si sarebbe già classificata nelle prime dieci economie globali.

Manca però ancora all’Asean una reale integrazione economica. La creazione della Comunità economica Asean, Aec, nel 2015 è stata considerata come il primo passo, ma manca ancora un quadro normativo comune, fatto che impedisce alla struttura politica di diventare anche un importante attore economico. Le profonde differenze in materia di sviluppo economico tra gli stati membri sono il principale ostacolo: se Singapore e Brunei hanno un Pil relativamente elevato pro capite, altri come il Laos, la Cambogia e il Myanmar hanno livelli di prosperità molto più bassi.

Il potenziale Asean come un mercato unico competitivo e come base di produzione globale è davvero molto grande.

Altra sfida è il rispetto dei diritti umani. La crisi dei rifugiati Rohingya del Myanmar ha richiamato l’attenzione su questo argomento. Nonostante i comprovati abusi di diritti umani, l’Asean rimane ferma nella sua politica di non interferenza, pur interessandosene in apparenza attraverso una sua Commissione intergovernativa per i diritti dell’uomo istituita nel 2009  e la redazione, assai criticata, nel 2012, di una propria dichiarazione per i diritti umani.

Graziella Giangiulio