Guardare al Medio Oriente con occhi diversi

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ITALIA – Roma 06/03/2015. La Libia rappresenta per l’Italia, sia geograficamente che storicamente, un paese di grande interesse. Purtroppo oggi è tornata al centro di tutte le agende politiche nazionali e internazionali a causa di quello che si fa chiamare Stato Islamico, IS che già in precedenza aveva espresso avvisaglie di avvicinamento, rese ora concrete dall’innalzamento delle bandiere nere sulle coste del Mediterraneo, lanciando un monito e una sfida anche alla nostra Capitale, che continua a rappresentare un enorme polo di attrazione sia per l’Oriente che per l’Occidente.

Il Califfato, continua ad utilizzare l’elemento della violenza e della minaccia per far parlare della sua avanzata attraverso l’uso strumentale di messaggi audio e video che impattano sull’opinione pubblica e sul sentimento dei popoli.
L’intervista che segue al Senatore Giuseppe Esposito, vicepresidente del Copasir (nella foto durante la presentazione del libro Lo Stato Islamico), vista la sua posizione privilegiata nella raccolta globale delle informazioni riguardanti le tematiche in esame, definisce il ruolo e la posizione dell’Italia e offre una lettura della situazione geopolitica che ancora una volta pone il nostro paese in una posizione leader nella gestione delle responsabilità della politica del Mediterraneo.

Senatore nei giorni scorsi il Governo, dopo che la situazione in Libia è degenerata e le bandiere dell’ISIS si sono moltiplicate in varie città che si affacciano sul Mediterraneo, ha dato versioni differenti sulla posizione dell’Italia vuole spiegarci cosa sta accadendo?
La situazione è complicata e non potrà essere risolta in tempi brevi, come sottolineato appunto anche dal Ministro Gentiloni. Ci sono numerosi attori in gioco e il nostro compito è quello di cercare una soluzione politica, diplomatica; dobbiamo mettere insieme i pezzi di un puzzle, far combaciare ogni elemento, a partire dai due governi di Tobruk e di Tripoli, ai vari gruppi etnici e alle tribù, alcuni dei quali oggi si chiamano ISIS, ma sono gli stessi della settimana scorsa, hanno solo cambiato bandiera.
È inoltre necessario ricomporre anche le forze di Assad, lo dico ormai da un po’, non perché sia “il meglio” ma perché dobbiamo iniziare a preservare quel poco di moderato. Bisogna poi cominciare a riparlare del Medio Oriente da mediorientali e non con la nostra visione occidentale. La nostra diplomazia e la nostra intelligence sono le uniche che in questi mesi sono riuscite a mantenere i contatti con tutte le parti in causa, nonostante l’inasprimento della guerra, questo ci permette di avere un’azione di leadership in quell’area. A conferma di ciò l’ultimo passaggio fatto dal sottosegretario Minniti che si è recato al Cairo dal Presidente egiziano al-Sisi con una lettera del premier Matteo Renzi.
Non credo vi sia stata alcuna contrapposizione tra la dichiarazioni del Ministro Gentiloni e quella del Ministro Pinotti, ritengo si tratti solo di valutazioni provenienti da dicasteri diversi. Il Ministro della Difesa in particolare ha solo evidenziato la disponibilità in termini numerici militari dell’Italia, non ha detto mettiamoci gli scarponi e andiamo combattere, tra l’altro oggi non ci sono le condizioni neppure per una azione umanitaria o di peacekeeping ne in Libia ne in Siria.

Parla di condizioni economiche?
No, per la sicurezza i soldi si trovano sempre. Non ci sono le condizioni per muoversi in quei territori. Non c’è un interlocutore locale, oggi nessuno accetta un dialogo quindi prima bisogna rimettere insieme, sul tavolo della diplomazia, la Russia, la Cina, l’America e fare in modo di ricreare negli Stati Uniti un reale interesse per il Medio Oriente, non in termini di bombe ma in termini di diplomazia.

In Libia c’è un interlocutore possibile?
Come intelligence in questi mesi noi abbiamo parlato con tutte le parti.

Con ISIS?
Continuo a dire che, a parte i 2mila foreign fighters che sono tornati dalla Siria, di Isis in Libia c’è ben poco. Sembrerà strano ciò che dico ma si tratta di bande criminali che hanno solo cambiato la bandiera.

Ma il sistema di al-Baghdadi non è quello di far giurare fedeltà ai gruppi che sono già presenti sul territorio?
Si, ma in Libia c’è una differenza, qui sono saltate le procedure tipiche di Da’ash, per esempio non sono stati designati i tre capi per ogni villaggio che si occupano ciascuno di un settore specifico, i gruppi hanno giurato fedeltà al Califfato, tutto qui. Tra l’altro in Libia si dovrebbe invertire la rotta economica: questi criminali guadagnano sulla prostituzione, sul gioco e sulla tratta di uomini, Isis ha una criminalità basata sull’indottrinamento religioso, modificato ad hoc per reggere la battaglia su cui poggiano la loro ideologia. Sottolineo che si deve dividere l’Islam che prega dall’Islam che uccide, sono due realtà completamente diverse.

Quale è la posizione dell’Italia all’interno della coalizione contro Da’ash?
Noi abbiamo un ruolo, come sempre abbiamo avuto, di grande importanza ma non basato sulla violenza. Noi mandiamo gli addestratori, facciamo da supporto logistico alle popolazioni locali. Attualmente siamo in Kuwait e a Baghdad con 400 uomini che si occupano di istruire e mettere la popolazione in condizioni di difendersi dai criminali dell’Isis. Non siamo mai stati attori dei finanziamenti all’Isis per poi combatterli, ne appoggiamo la parte moderata, se così si può chiamare. Forse neppure noi siamo moderati in Italia abbiamo la ‘Ndrangheta, abbiamo la Camorra, abbiamo ciò che potrebbero trasformarsi in “cellule solitarie” e colpire il nostro paese, e per noi questo è il pericolo più elevato.
Comunque la battaglia non è tra Occidente e Oriente, ma è all’interno del Medio Oriente per la supremazia della Regione. D’altra parte, forse aprirò una guerra diplomatica con questi paesi, uno degli obiettivi dell’Isis è far cadere la famiglia monarchica dell’Arabia Saudita, la quale si sta peraltro indebolendo anche da sola, e il Qatar cerca di aiutare questo processo per diventare la famiglia più potente di tutto il MO.

Ma Qatar e Arabia Saudita non hanno finanziato e sostenuto il Califfato?
Intanto come sappiamo non sono unici responsabili di questo, la spiegazione potrebbe essere che alle volte si finanzia un gruppo all’interno per salvarmi da attacchi esterni.

Un gioco pericoloso non pensa?
Torniamo un po’ indietro a Osama bin Laden, la sua famiglia possedeva il 36% del circuito satellitare Iridiun, il più importante dell’epoca, e ottenevano dei finanziamenti che garantivano chiaramente la monarchia Saudita. Poi le cose sono cambiate perché hanno metodi diversi, con loro i contratti si chiudono con un “inshallah”, se Dio vuole, questo significa anche che possono in qualsiasi momento possono ritirarsi. Gli Stati Uniti hanno sbagliato in alcuni frangenti e anche noi stiamo sbagliando da qualche anno il modo di interpretare il MO, hanno dei tempi e dei modi diversi da noi. Penso che per far cambiare qualcosa dovremmo investire sulla proprietà privata.

In che senso?
In questi paesi tutto si concentra nelle mani di pochi, che posseggono le ricchezze, il resto della popolazione è poverissima. Se riuscissimo a tramettere il senso della proprietà privata forse il problema si risolverebbe. Dobbiamo smettere di elargire denari, dobbiamo dare loro la possibilità di possedere la produzione, i macchinari, le strutture perché proteggere i loro beni li allontanerebbe dalla guerra. Oggi non hanno niente da perdere! Guarda caso in Siria le cose sono differenti e il Califfato la combatte!

Come possiamo definire l’intervento dell’Egitto in Libia?
Secondo me l’Egitto si sta preoccupando più di colpire il governo di Tripoli e quindi i Fratelli Musulmani che di Isis. Il timore del governo del Cairo è che i gruppi che hanno giurato fedeltà al Califfo possano creare contiguità con i Fratelli Musulmani e aprire un varco verso l’Egitto. Isis, che pone grande attenzione sulla comunicazione, ha volutamente provocato l’Europa, usando Roma, ma in realtà voleva celare il vero progetto: quello di porre radici prima in Tunisia, dove vi è un certo numero di foreign fighters, e poi in Egitto, dove ci sono i Fratelli Musulmani.

Cosa pensa del pericolo sbarchi?
Non ritengo vi sia pericolo di infiltrazioni terroristiche. I barconi possono essere un’arma, Isis potrebbe utilizzarli per creare difficoltà e destabilizzazione in Italia e quindi in Europa, rispondendo ad un comando centralizzato da Mosul. Se facessero sbarcare 100mila persone in Sicilia il colpo economico per l’Italia, e non solo, sarebbe peggio di una guerra, peggio di un attentato o di una azione terroristica. Tendenzialmente non sono interessati a noi e questo genere di azione avrebbe solo uno scopo mediatico.

Quindi per noi non vi è alcun pericolo?
Non siamo in pericolo dal punto di vista di attacco organizzato. Isis ha una strategia, per alcuni versi migliore della nostra, ma non per quanto riguarda gli obiettivi. Sanno di non essere pronti per una guerra all’Occidente, non hanno le strutture ecco perché usano la tattica della paura. Vediamo che anche la Giordania ha reagito ad una situazione di paura, se prima in qualche modo li ha appoggiati oggi li combatte. Il pericolo è dato dalle cellule solitarie, che certo potrebbero nascondersi nelle carrette che approdano nelle mostre coste, ma il rapporto di possibilità è molto basso.

In tutto questo il ruolo della Turchia viene dimenticato?
Assolutamente no, come fai a dimenticare l’autostrada del jihad? Però dobbiamo guardare anche al fatto che se non ci fosse Erdogan ci sarebbero i Fratelli Musulmani. La Turchia sta dentro la Nato, ma è in guerra con i curdi, attualmente finanziati dagli americani, li sta pagando per combattere l’Isis. I curdi intanto si sono impossessati di alcuni pozzi petroliferi turchi creando un ammanco alle casse dello stato di 750 milioni al mese e questo è un problema enorme per il governo di Erdogan. Non abbiamo mai dimenticato la Turchia perché, dopo la Turchia, c’è la Macedonia, la Serbia, il Kosovo e la Bosnia. E già in questi paesi la situazione non è limpida, da Mostar per esempio giungono notizie di una situazione allarmante sparano e nelle strade sono riapparsi le palizzate con il filo spinato. Dobbiamo sollecitare la parte moderata e cercare il dialogo con i paesi arabi.

Ma allora perché schierarsi contro Assad?
Io credo che la questione di Assad sia diversa e parta da posizioni differenti. Assad non piaceva alle famiglie mediorientali non agli americani, infatti hanno aperto la guerra poi però se ne sono disinteressati perché il rischio di fare la fine del Vietnam o dell’Iraq era molto elevato. In Iraq dopo aver fatto cadere Saddam si è cercato di dare agli sciiti il potere, oggi la situazione è precipitata completamente. L’80% dei militari passati all’Isis sono ba’thisti del partito di Saddam, uomini addestrati dagli americani che sanno portare carri armati, elicotteri e aerei. Ma il problema è stato anche la Francia che ha aiutato in qualche modo ad abbattere una serie di dittatori, io non sono un nostalgico di Gheddafi, però creare dei vuoti senza indicare la soluzione aumenta il livello di difficoltà che abbiamo sul territorio e sul teatro di guerra.

Quale è la via d’uscita?
Isis ha basato molto sulla comunicazione. Ha case di produzione video di grande levatura, ha un ottimo servizio di deep web, 80/90 snodi internet di grandissimo valore che si spostano con una facilità incredibile. Ha una struttura informatica a livello mondiale gestita da un gruppo di 300 ingegneri assunti 4 anni fa quando nessuno sapeva chi fosse al-Baghdadi. Quindi quello che aveva iniziato Bin Laden tempo fa con gli annunci delle torri gemelle, al-Baghadadi lo ha moltiplicato per mille, se non riusciamo a rispondere in maniera simmetrica a questa comunicazione quando morirà l’attuale Califfo il rischio è che ne arriverà uno peggio. Se Osama bin Laden era il male al-Baghdadi è il peggio, se non cambiamo la nostra risposta il rischio è che arriverà qualcuno che non sarà più possibile controllare. Quindi il possesso la proprietà, abbassare le pretese sono i primi passi da compiere, ma soprattutto dobbiamo realizzare concretamente che non sono gli ultimi del mondo.

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