ITALIA – Roma 19/02/2016. “Stato Islamico. Morte i uno stato mai nato?” è stato presentato il 17 febbraio alla Camera dei Deputati in una serata ad hoc (il servizio Rai dedicato alla presentazione del documentario è visibile cliccando qui. Il servizio è visibile al minuto 10:55 del Telegiornale).
Il documentario, prodotto da Ruvido Produzioni in collaborazione con Agc Communication, è il secondo del suo genere prodotto in Italia; interpreta e spiega la vita nel Califfato. Lo fa attraverso i filmati di propaganda prodotti da Daesh, noto anche con il nome di ISIS, ISIL, IS, Stato Islamico.
Il lavoro nasce dal lavoro di ricerca di un team di giornalisti e analisti di Agc Communication, che da oltre tre anni cattura gli audio e i video postati in rete, in chiaro, prima che vengano oscurati dalle autorità.
“Stato Islamico. Morte i uno stato mai nato?” va in contro tendenza rispetto alla censura dei media occidentali che, nell’intento di bloccare la propaganda, sono diventati ciechi di fronte a una realtà afferrabile solo attraverso la propaganda stessa. Sì, perché l’unico modo per capire un fenomeno è l’osservazione e lo studio e non la censura.
La propaganda di Daesh arriva nelle case degli interessati, giovani tra i 13 e i 25 anni, tramite i social network. Una propaganda sottile che giustifica gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso asserendo che sono una risposta ai bombardamenti francesi in Siria e Iraq cominciati il 27 settembre anche se, a dire il vero, le minacce alla Francia da parte di ISIS sono iniziate già nel 2014.
Ma Daesh sta perdendo o sta vincendo? I video propagandistici mostrano uno stato colpito ma vivo e vegeto, con un grande desiderio di emergere ed esistere, al punto tale da far dire all’auto proclamato Califfo Abu Bakr Al Baghdadi nel messaggio al mondo del 26 dicembre 2015, che i bombardamenti aerei hanno rafforzato lo “Stato”. Sì perché la caratteristica principale che differenzia ISIS da altri noti gruppi terroristici come al Qaeda è che porta con sé il risveglio delle masse musulmane attraverso la creazione di uno Stato al cui interno non ci sono differenze, tutti hanno uguali diritti, non c’è corruzione. Ma dietro questo velo di giustizia non è ammessa deroga e chi non la pensa come gli uomini del Califfo finisce giustiziato, reso schiavo, venduto e annullato.
Si tratta di uno Stato basato più sulla forza che sul consenso dove la guerra è l’unica vera essenza e ne diviene il fondamento. Mantenere uno stato costa, dunque servono finanziamenti che derivano dalla vendita del petrolio sottratto agli Stati, dal contrabbando di opere d’arte, dal mercato degli schiavi, da investimenti in fondi sovrani fatti ben prima dell’auto proclamazione a Califfo, il 5 luglio 2014, di Abu Bakr al Baghdadi. E infine dalle tasse. Daesh ha infatti rivisto in chiave moderna la “Zakat”, uno dei 5 pilastri della religione musulmana, rendendola obbligatoria. Una sorta di decima imposta in base al reddito che serve a finanziare la guerra, a pagare i soldati e i dipendenti dello Stato Islamico, a sostenere i poveri e chi non può pagare i debiti.
Come ogni Stato che si rispetti, inoltre, Daesh conia moneta e vuole un ritorno al dinaro. ISIS propone una economia parallela a quella attuale basata sulla finanza dove un pezzo di carta, il dollaro, ha sostituito, secondo i reggenti del Califfato, il valore reale dei beni. Chiede di ritornare allo scambio reale di beni e non di debiti. Anche se poi a ben guardare nelle città del Califfato si usa ancora la carta moneta. E poi ancora guerra, combattenti, truppe scelte, nuove generazioni di soldati arruolati nelle città dove il Califfato esiste, adescati nelle città europee e poi convertiti e infine “martiri” per loro, attentatori suicida per noi. E ancora arruolamenti, questa volta di bambini che vengono indottrinati e convinti a fare “il Jihad”, per noi la guerra, per loro il sacrificio. E noi? Che stiamo facendo? Bombardiamo e oscuriamo immagini, neghiamo una guerra in corso, ma se la guerra potremmo vincerla riusciremo a sconfiggere il desiderio di uno Stato Islamico?