Cultura a vapore

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ITALIA – Roma. Quindici anni fa, tornato da Londra pieno di entusiasmo, chiedevo ai miei genitori di comprare un paio di pantaloni in un negozio in centro. Non era facile da trovare, google maps un sogno futuribile. Avevo tuttavia un indirizzo appuntato su un foglio di carta, per raggiungere una traversa di via del Corso.

A destinazione, mi trovai di fronte una vetrina con telai in ferro al cui interno, esposti come trofei, si ergevano manichini con corsetti in lattice, maglie nere aderenti, profusione di borchie, collarini in pelle e maschere anti-gas. Un negozio vuoto, fatta eccezione per il proprietario, che con fare cordiale mi chiese di cosa avessi bisogno. Cercavo dei pantaloni. Quelli che avevo visto a Londra, neri a vita alta con un mezzo kilt appeso ai passanti della cintura. Un sorriso accennato per andarli a prendere da uno scaffale. Un sorriso, io nel poterli comprare. Ricordo di aver indossato quei pantaloni sognando di trovarmi di nuovo a Camden, quello che sperimentavo era senso di appartenenza. Assistevo allora alla nascita di una sottocultura, del desiderio di sentirsi parte di un movimento. La metafora gestaltiana di un “sogno del segmento”, che coadiuvato da tre suoi simili si risolve in un “quadrilatero”, era davanti ai miei occhi. 

 

Le aggregazioni di persone, i gruppi hanno una peculiarità: la capacità di autoalimentarsi attraverso la comunicazione e la divulgazione delle proprie direttrici. Fenomeno questo, che ebbe luogo anche all’epoca. I pochissimi “strani” con pantaloni neri e collarini, che sporadicamente potevano essere visti passeggiare per Roma, iniziarono a sviluppare un sentire comune, innalzando a loro baluardi una serie di scrittori, musicisti, registi e illustratori. Persone differenti, senza alcun reciproco contatto sociale, svilupparono gli stessi gusti, creando una domanda di mercato. Il cordiale proprietario del negozio, a quel punto, accese uno stereo. Era il tassello mancante. L’embrione di un offerta per una nascente sottocultura, che in quel momento chiedeva un punto di aggregazione e ritrovo. Un sentimento di certo funzionale al profitto, sintetizzato nel suono. Era la gestazione della sottocultura Gothic, evidentemente.

Steampunk. Un termine eccentrico, una forzatura linguistica. Dalla sua apparizione negli anni Ottanta, ad opera di Kevin Wayne Jeter, accumunava infatti opere di letteratura apparentemente disomogenee, all’interno di una stessa linea narrativa.  Ecco dunque William Gibson e il suo The Difference Engine del 1990, dove si delineano i tratti di quello che non è più un casus letterario, ma un definito filone della fantascienza, capace di comprendere ex-post opere scritte da oltre un secolo. Jules Verne, H.G.Wells, ad un tratto inventori e rappresentanti di una tradizione. Senza dilungarsi in spiegazioni riguardanti le sfumature letterarie in cui, questo genere, negli anni si è frammentato, è illuminante soffermarsi sulla condivisione di un sentire comune che si sta trasformando in sottocultura e le sue somiglianze con la nascita della sottocultura Goth.

Lo scenario attuale è caratterizzato dalla diffusione dei social media. Un’agorà immateriale con capacità aggregative e comunicative inimmaginabili, in grado forse di prescindere dal mio “viaggio a Londra”. Meno romantico e più semplice, è l’approccio alla condivisione delle proprie emozioni. Tuttavia, tra l’aggregazione immateriale e la viva esperienza, qual’è il confine tra il condividere gusti ed appartenere a un movimento, a una sottocultura? 

Come già divulgato da Ibm, Vanity Fair e altre testate internazionali, lo Steampunk viene definito il trend di sviluppo per il prossimo biennio, ma quale è l’anima di questo trend di mercato? Dove sono gli “steampunker”, che ne hanno istituito lo sviluppo? Dove è il movimento culturale che, condividendo gusti e preferenze, sta creando una domanda?

Attualmente, nell’ambiente  culturale italiano, il movimento è allo stato immateriale, “vaporoso”, non casualmente. Come evanescente è l’agorà in cui ha trovato voce. Gli steampunker non escono di casa per andare tutti nello stesso negozio, non vanno a ballare tutti nello stesso locale, non hanno serate a tema da cercare. Trovano soddisfazione ed estetica nelle loro creazioni, nella bellezza del loro “outfit”, e le utilizzano per collezionare foto in costume o rapide apparizioni in fiere pluri-tematiche.

La peculiarità della sottocultura Gothic, che invece non possiede ancora lo Steampunk è facile da comprendere. La musica. Nell’impianto audio del cordiale negoziante, non tardarono ad albergare dischi dei Sisters of Mercy, dei The Cure, dei Depeche Mode. Traendo spunto da una discografia molto florida di artisti che, spaziando dall’elettronica al metal, incarnavano spirito e tematiche care agli adolescenti che si avvicinavano a una sensazione di appartenenza culturale, il Gothic ebbe la sua consacrazione. 

Allo stato attuale, lo Steampunk non ha l’impatto aggregativo di un concerto, di un festival; ne ha tuttavia potenzialità e presupposti. Le pochissime band di appassionati del genere non hanno un mercato o spazi dove esprimersi al di fuori di qualche convention. E, cosa ancor più grave, non sono ancora riuscite a delineare i tratti comuni di un genere musicale. Non essendoci musica “steampunk”, non esistono locali “steampunk”. Equazione lineare. Senza un suono, il contesto tarda ad integrarsi nelle sue componenti, al “quadrilatero gestaltiano” manca un segmento.

La band italiana, Poison Garden (www.poisongarden.it), sembra essersi presa l’onere di divenire il liquido capace di colmare il vaso in ogni suo spazio, con l’ambizione di delineare i fondamenti di un suono “steampunk”. I Poison Garden, ed il primo festival steampunk italiano, lo Steampact Fest che avrà luogo a Roma a fine marzo, avranno il compito di dimostrare che l’outfit di questa sottocultura, non è un mero vezzo da fotografare, ma il lato tangibile di un senso di appartenenza, in grado di passare dall’Agorà virtuale al mondo reale. Se saranno capaci di guidare questo salto, seguirà la scia italiana. Una nuova generazione di proprietari di locali, capaci di offrire un punto stabile di aggregazione e ritrovo, con giovani dai richiami vittoriani nel proprio vestire pronti a definirsi degli Steampunker.