#CRONACHEDELLIMMAGINARIO. Fiction d’Italia – L’immaginario del tinello 

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L’Italia produce ancora un suo immaginario cinematografico? Sì, ma quali emozioni e contenuti trasmette? Il caso di Messina Denaro è illuminante per capire l’immaginario di un paese che persegue la propria depressione.

L’immagine più potente dell’arresto di Matteo Messina Denaro (cui era presente anche Totò Schillaci, il campione di Italia ’90) è il boss immerso nel suo completo beige. Tanto che il giorno dopo un suo imitatore si fa fotografare con il fatale montone in un supermercato di Napoli. Inconsapevole potenza, cerchio perfetto dell’immaginario dell’Italia immobile.

Latitante dai primi anni ’90, dove si era nascosto Denaro tutti questi anni? Dove ha ordito crimini e trame massoniche, ingerito Viagra, caricato il cellulare?

In un tinello.

Il tinello lo ha protetto per 20 lunghi anni. L’Italia nel frattempo non è cambiata.

Che l’immaginario italiano sia ancorato alla nostra storia buia dalla fine degli anni ’60 ai primi ’90 lo dimostra il contenuto delle fiction recenti più importanti: crimine organizzato, eversione rossa e nera, mafia, servizi deviati, misteri vaticani, complotti, attentati e cronaca nera in un groviglio neorealista unico al mondo.

Ogni genere ha i suoi luoghi di riferimento: nel western è il saloon, nel poliziesco la macchina, nel fantasy l’antro del mago…Nella recente fiction italiana è l’interno della vecchia casa borghese.

Un mondo di ombre e penombre, centrini a uncinetto, tapparelle abbassate, silenzi, sussurri, gente in divisa in sala da pranzo, mogli dallo sguardo tetro e dolente, bambini nati già vecchi, arredi gozzaniani (“le buone cose di pessimo gusto”), colori sbiaditi. Dominano marrone, grigio e verde Osiride.

Dai lontani La meglio gioventù e Romanzo Criminale II (i capostipiti) ai recenti Il mio generale (Dalla Chiesa), Esterno Notte e Buongiorno notte (Bellocchio sul caso Moro), fino al Craxi di Amelio (Hammamet), e a La scuola cattolica (massacro del Circeo); dall’esistenzialismo napoletano de L’Amica Geniale (dai ’50’ ai ’70) e La Vita bugiarda degli adulti (’90), a Alfredino, una storia italiana (appunto), Vatican Girl (il caso Orlandi\banda della Magliana), fino a 1992 e 1993 (Tangentopoli) e a tanti altri, tutto è cupo.

Detto che sempre si tratta di prodotti di alto livello, l’effetto complessivo è un po’ ridicolo: “Ecco mo’ che arriva la 127 bianca, no bianca era la Uno, la 128 è rossa. Vedi quel maglioncino a girocollo? la gonna al ginocchio? gli occhiali grandi squadrati? Ma quello è er Canaro o il mostro di Firenze? Ecco il Ciao! E il bar con l’orzata! la cabina a gettoni! E l’avventura nello scompartimento del treno? …ecco intanto la canzone di Battisti e Rino Gaetano.

Immancabile il tiggì a tubo catodico che annuncia il fattaccio. Alla notizia di solito cadono i piatti a terra mentre la nonna fa la pasta a mano. A quel punto cala il silenzio nel luogo magico, sacro, cittadino e contadino insieme: il tinello.

Un mondo privato, intimo e quotidiano dove si lavano i piatti a mano, si mangiano gli avanzi e ci si bacia furtivi anche se si è sposati da quarant’anni.

Il genere tinello trasmette paura dell’esterno nell’anziano spettatore. Paura dell’aggregazione (che è sempre criminale) e della solitudine (preludio al crimine), delle camionette della Celere e degli striscioni di Lotta Continua.

Lo spettatore anziano reagisce alla visione come-cane-di-Pavlov: «Dove ero io in quel momento? Cosa stavo facendo?» «facevo la ragazza del muretto e attorno a me solo complotti!»; «E io che guardavo Lando Buzzanca e Sapore di Mare…che me so perso

Eppure quanta nostalgia in tutto quel dolore onesto, in quei casi efferati e crudeli, ma così ingenui. Ci si uccideva negli androni dei palazzi, in auto solitarie, fuori dagli sguardi. Tutti potevano essere assassini, l’uomo comune, l’amico studente, lo zio, la giovane operaia…ma in silenzio, con discrezione, nelle cantine, nei doppifondi. Oggi il mondo è insopportabile e rumoroso, gli smartphone hanno colori psichedelici e il tinello si chiama “Skruvby”, perché è quello di Ikea.

Il genere tinello produce un morboso tono di nostalgia per gli orrori della nostra storia segreta. Ma la “coscienza civile”, il conoscere i fatti, affrontarli, vederli, non consola e non assolve. Un irrisolto senso di colpa personale e collettivo ci attanaglia, e un definitivo senso di impotenza pervade l’anima e il corpo senile dell’italiano medio.

La nostra fiction attuale più colta impone ed è specchio di brutti e foschi ricordi. Quelli spensierati da vitelloni poveri, ma belli anni ’60 o da “paninari” berlusconiani anni ’80 sono sotto la censura intellettuale di ieri, oggi e domani.

In tuta o in pigiama, così come Messina Denaro nel suo bunker tinello, lo spettatore è da anni chiuso nel suo tinello da lockdown. Tanto da aver amato i lockdown forse proprio per questo. Perché hanno permesso un ritorno (malato) nel grembo materno. Da cui non si deve uscire.

Tutto ciò è frutto del gusto preciso di produttori, registi e autori, che si sentono educatori, oltre che di esperti di strategie di mercato.

È vero che esiste il filone più internazionale e contemporaneo di Suburra, Gomorra, L’Immortale e che c’è Sorrentino, ma per gli editori (Netflix, Amazon, la Rai…) tinello siamo e tinello dobbiamo rimanere. Il resto meglio farlo fare agli altri. Nel nostro immaginario condiviso delle fiction Tv si è persa traccia di commedia e western, erotico e comico, horror e fantascienza, pecoreccio e musical. I tinelli di oggi, sono “I telefoni bianchi” di eri.

L’Italia (del cinema) dimostra paura del mondo esterno e vergogna di sé stessa. Per questo è sparita dalla modernità. L’immaginario non mente mai.

Riccardo Mazzon

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