COVID-19. La variante storica della Supercazzola

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«Perché l’hashtag che serve a darci forza ai tempi del coronavirus è una supercazzola? Perché per forza “andrà tutto bene”! Cazzo, siamo l’Italia! (…) I vertici, tra inadeguatezze senza fine e furbetti fuori tempo massimo, hanno galleggiato cercando di tenere la bocca sopra l’acqua. E la base, come spesso è accaduto nella nostra storia, ha tirato fuori i maroni».

Ecco così definito il motto che sta riempiendo i cuori e le menti, e non solo quelli, degli italiani, e non solo, nell’intelligente testo di Alberto Forchieli e Michele Mengoli, L’arte della Supecazzola. Lessico essenziale dell’Italia che non ci meritiamo, dal 1861 al coronavirus (Baldini+Castoldi). Un testo intelligente ed esilarante per riprendersi dal letargico buonissimo imperante nei media, nella politica e non solo.

«Per una leadership senza contenuti, la supercazzola diventa l’unica via. La frase fatta come eterno strumento di bugia seriale da non mantenere, con la classe politica italiana attuale che – tranne rarissime eccezioni – dal premier ai ministri fino ai portavoce e portaborse di vario genere, insieme alla relativa pletora di consulenti e dirigenti al loro soldo, tra impreparazione o perseguimento del solo interesse “poltronistico” personale, naviga a vista e la loro unica speranza, bugia dopo bugia, è quella di confidare sulla memoria corta e/o l’indifferenza dei cittadini. Quindi un libro sull’arte della supercazzola scritto dai paladini del Muoviculismo si pone oggi il diritto-dovere di palesarsi come un manuale-manifesto di azione-reazione, perché è inimmaginabile poter stare su un qualunque mercato – banalmente anche quello della vita stessa – senza saper “leggere” una supercazzola e interpretarla per quello che è. E vi offre istruzioni operative per “annusarla”, riconoscerla, smarcarsi da lei, giocare d’anticipo e, con rinnovato vigore, rilanciarla». È un testo di sopravvivenza intellettuale e spirituale in tempi di Covid-19.

La supercazzola è «un termine che fa parte dell’immaginario collettivo italiano fin dal lontano 1975, quando nel film Amici miei di Mario Monicelli, Ugo Tognazzi, nei panni del conte Raffaello Mascetti, ne fa ampio uso, prendendosi gioco di vari interlocutori, mescolando, attraverso un parlare veloce e sicuro, un insieme casuale di parole reali e inesistenti, tipo “Tarapìa tapiòco! Prematurata la supercazzola o scherziamo?”. O ancora “Antani, come se fosse antani, anche per il direttore, la supercazzola con scappellamento a destra, per due”. Quindi, se in origine è un neologismo che indica una frase priva di senso logico, di chi parla senza dire nulla, successivamente diventa anche identificativo per chi dice volontariamente e in modo strumentale ai suoi interessi una “cagata pazzesca”, tanto per citare un’altra frase cult di quegli anni in arrivo dal Secondo tragico Fantozzi di Luciano Salce (1976), con Paolo Villaggio-Ugo Fantozzi che, costretto dal megadirettore cinefilo all’ennesima visione delle “18 bobine” della Corazzata Potëmkin, sbotta con quello sfogo tanto liberatorio quanto diventato, a furor di popolo, l’ingrediente base di ogni ribellione allo status quo intellettualoide, il machete che inizia a disboscare la giungla del politicamente corretto.

I due autori ci consigliano di vivere e vivere intensamente e intelligentemente impegnandoci a fondo nel farsi fregare dai supercazzolari della prima e dell’ultima ora: «È per questo che dobbiamo provare a tutti i costi a dare un senso alla nostra vita finché ci è concesso di viverla. E sì, è vero, abbiamo un obbligo morale: quello di muovere il culo. Ma anche un altro: quello di non farci prendere per il culo. Perché in questo meraviglioso casino così complicato che è la vita, davvero, non ci meritiamo anche le cagate pazzesche dei supercazzolari.

Di conseguenza non permettete più a nessuno di raccontarvele e restare impunito. E contro-supercazzolatelo senza la pietà che speriamo abbiate per tutto il resto».

Antonio Albanese