COSTA D’AVORIO. Tornano a rullare i tamburi di guerra

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Non tutti sanno che Cristoforo Colombo non ha avuto solo il merito di aver scoperto l’America, ma anche di essere stato il primo europeo, nel 1502, in occasione del suo quarto viaggio nel Nuovo Mondo, ad assaggiare la bevanda di cacao. Tuttavia, la trovò talmente amara e speziata da restarne disgustato. Non poteva certo immaginare quanto sarebbe diventata dolce nel corso dei secoli e – una volta trasmigrata la pianta in Costa d’Avorio – quanto avrebbe finito con l’essere al centro di lotte politiche e sfruttamento economico.

Con una produzione di cacao che rappresenta quasi il 40% di quella mondiale e un giro d’affari, in crescita continua, che attualmente raggiunge gli 85 miliardi di dollari, la Costa d’Avorio, alla soglia delle elezioni presidenziali fissate per il 31 ottobre prossimo, è già preda di drammatiche tensioni. Introdotto nel Paese durante la colonizzazione, il cacao è divenuto il cardine dell’economia ivoriana e i profitti derivanti dalla sua esportazione rappresentano oggi il 10% del PIL, contribuendo a rendere la Costa d’Avorio terzo Paese africano per il suo tasso di crescita annuo.

Nonostante la Costa d’Avorio sia la più forte della Comunità Economica dell’Africa Occidentale (ECOWAS), rimane un Paese fragile, un “gigante dai piedi d’argilla”, diviso dal punto di vista religioso, etnico, economico e sociale, che non ha ancora dimenticato la guerra civile, durata dal 2002 al 2007, e i conflitti verificatisi all’indomani della crisi post-elettorale del 2010. Come raccontato al tempo da un responsabile dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) «nelle strade di Abidjan i cadaveri dei morti vengono mangiati dai cani». Allora il bilancio degli scontri fu di circa 3.000 morti e atrocità inenarrabili compiute ai danni di oppositori politici, ma anche e soprattutto di cittadini comuni, colpevoli solo di essere nati nella “parte sbagliata del mondo”.

La paura della furia omicida, già scatenatasi nel passato, si sta di nuovo diffondendo nel Paese dove l’annuncio della candidatura del presidente Alassane Dramane Ouattara (ripropostosi a seguito della morte prematura, l’8 luglio scorso, del 61enne Amadou Gon Coulibaly, primo Ministro e suo uomo di fiducia per 30 anni), dopo il via libera della Corte Suprema per un terzo mandato (nonostante la Costituzione ne preveda un limite di due), ha già provocato la morte, nel mese di agosto, di circa 15 persone. Solo a marzo scorso il presidente Ouattara (soprannominato “ADO”) aveva annunciato di voler «trasferire il potere alle nuove generazioni» e che non avrebbe concorso per un terzo mandato. Infatti, il candidato designato del Rassemblement des houphouetistes pour la democratie et la paix (RHDP) avrebbe dovuto essere Coulibaly. L’RHDP è al potere da circa 10 anni, ossia da quando l’ex presidente, Laurent Gbagbo, è stato costretto ad abbandonare il potere dopo essersi rifiutato di accettare la vittoria di Ouattara (novembre 2010).

La sindacalista Pulcherie Gbalet, militante per i Diritti Umani e riconosciuta nel 2018 come personalità “al servizio degli altri” della società civile ivoriana, ad agosto è stata arrestata e incarcerata per un mese, dopo aver chiesto manifestazioni contro il terzo mandato del presidente Ouattara. Justin Koua, presidente dei giovani del Fronte Popolare Ivoriano (pro-ex Presidente Gbagbo, già processato per crimini contro l’umanità e recentemente assolto dal Tribunale dell’Aja) è stato arrestato, verso la metà di settembre, a Korhogo (zona settentrionale della Costa d’Avorio) e trasferito pochi giorni dopo in una prigione di Bouaké (centro), per aver biasimato il partito di Ouattara. Infine, il 23 settembre, una dozzina di parenti dell’ex leader ribelle ed ex primo Ministro Guillaume Soro, la cui candidatura alla presidenza del 31 ottobre è stata respinta dal Consiglio Costituzionale (a seguito della sua condanna a 20 anni di carcere, da parte del Tribunale di Abidjan, per appropriazione indebita e riciclaggio di denaro), sono stati rilasciati dopo nove mesi di prigione.

Maria Grazia Chimenz