COSTA D’AVORIO. Elezioni Presidenziali: verso l’inevitabile

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Se la scorsa settimana Alassane Ouattara si era dichiarato favorevole al ritorno in patria di Laurent Gbagbo (“il cui passaporto sta per essergli consegnato”), l’antico Presidente della Costa d’Avorio, dal suo esilio forzato in Belgio, a due giorni dalle elezioni chiarisce invece di sostenere l’opposizione e di “comprendere e condividere” la rabbia di coloro che contestano la candidatura di Alassane Ouattara. Appello rimasto però senza esortazioni alla lotta, come atteso da alcuni sostenitori, in vista delle votazioni di sabato 31 ottobre.

Il Presidente uscente si era detto desideroso che Gbagbo rientrasse – dopo le elezioni presidenziali – in “condizioni normali”, prima di cominciare a parlare del suo processo presso la Corte Penale Internazionale (CPI). Considerato il clima sempre più aspro nel Paese e la paura crescente di una rinnovata guerra civile, già verificatasi in occasione delle elezioni del 2010 (oltre 3.000 morti), proprio a causa del rifiuto da parte di Gbagbo a riconoscere la vittoria di Alassane Ouattara, il provvedimento mirava ad esprimere una volontà di apertura nei confronti dell’opposizione. Da una parte nell’intento di attirare consensi anche nel fronte contrario e dall’altra di smorzare la questione d’incostituzionalità del terzo mandato.

Fondatore del Fronte Popolare Ivoriano (FPI) nel 1982 e IV Presidente della Costa d’Avorio (dal 26 ottobre 2000 al 4 dicembre 2010), Laurent Koudou Gbagbo attualmente è in Belgio ad attendere la riapertura del suo processo, su decisione del Procuratore Generale della Corte Penale Internazionale, Fatou Bensouda, che è così riuscito a trattenerlo prima dello svolgimento delle elezioni. Il caso dell’ex Capo di Stato, arrestato nell’aprile 2011 e consegnato nel novembre 2011 alla Corte Penale Internazionale all’Aia per crimini contro l’umanità, per molti ivoriani è la riprova di una giustizia internazionale prona agli interessi economici francesi in Africa. Gbagbo, rimasto in detenzione per cinque anni in attesa del processo, comparve in tribunale il 28 gennaio 2016 dove si appellò al diritto di non rispondere alle accuse. Il 18 gennaio 2018 l’ex Capo di Stato ivoriano e suoi tre ex ministri vennero inoltre condannati a 20 anni di prigione e ad una multa di 329 miliardi di FCFA per «sottrazione di fondi» all’Agenzia Nazionale della Banca Centrale degli Stati dell’Africa Occidentale (BCEAO) durante la crisi seguita al post-elettorale ivoriano. Tuttavia, Il 15 gennaio 2019 il Presidente del Tribunale, Cuno Tarfusser e il Giudice Geoffrey Henderson, ne firmarono l’ordine di rilascio.

Nonostante Amnesty International abbia duramente criticato la decisione dei giudici, definendola un “insulto alle vittime delle due guerre civili” (la battaglia politica, all’indomani dell’elezione del cristiano Gbagbo, avendo anche scatenato una furia omicida contro i musulmani, nel Nord e nel Sud del Paese, con incendi appiccati alle moschee e 500 islamici massacrati dai militanti dell’FPI), la maggioranza dei cittadini ivoriani ha manifestato tutta la propria esultanza sfilando nelle strade delle città. L’arresto di Gbagbo è stato sempre considerato come una vendetta da parte della Francia, rea di non avergli perdonato la condotta, durante il mandato presidenziale, di una politica nazionalista volta a ridurre il condizionamento di Parigi. Politica, secondo il parere comune, in grado di minacciare gli interessi economici degli imprenditori francesi in Costa d’Avorio. L’1 febbraio 2019 Gbagbo è stato assolto da tutte le accuse, ottenendo di nuovo la libertà.

Intanto, il 28 ottobre, Alassane Ouattara, si è incontrato con le popolazioni Atchan e Akié nel villaggio di Ebimpé dove ha biasimato i deplorevoli eventi occorsi a Dabou, dal 19 al 21 ottobre scorso, che hanno provocato 16 morti e 67 feriti. Il Presidente uscente ha esortato i capi tradizionali e le guide religiose a proseguire nel «consigliare ai giovani di non lasciarsi manipolare». «Il nostro Paese è una terra di pace, fraternità, ospitalità, fatta di valori ereditati dal padre della nazione. Dobbiamo continuare a far sì che la Costa d’Avorio rimanga in pace perché senza di essa nessuno sviluppo sarà più possibile».

Redazione