CORONAVIRUS. Si teme la seconda ondata

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Una seconda ondata di Covid-19 potrebbe abbattersi sulla Cina: è questo l’allarme lanciato dall’Imperial College London che ha messo in guardia in una studio sui pericoli di una fase due. L’epidemia Covid 19 è stata descritta come la più grave minaccia per la salute pubblica «dalla pandemia di influenza H1N1 del 1918», la storica spagnola, che ha infettato un terzo della popolazione del pianeta, pari a circa 500 milioni di persone. Alla fine il numero dei morti arrivò a 50 milioni in tutto il mondo.

Le stringenti misure, riporta lo studio britannico ripreso da Asia Times, saranno lunghe: «La sfida principale della soppressione è che questo tipo di pacchetto di intervento intensivo dovrà essere mantenuto fino a quando non sarà disponibile un vaccino, che potrebbe potenzialmente essere di 18 mesi o più – dato che prevediamo che la trasmissione si riprenderà rapidamente se gli interventi saranno allentati (…) Mentre l’esperienza in Cina e ora in Corea del Sud dimostra che la soppressione è possibile a breve termine, resta da vedere se è possibile a lungo termine e se i costi sociali ed economici degli interventi adottati finora possono essere ridotti». 

Più di 182mila persone sono state finora contagiate a livello globale, con una spirale di morti che ha superato le 7.100 unità. Il tasso di recupero si aggira intorno alle 80mila persone. In Cina, quasi 90mila persone sono state contagiate con un tasso di mortalità di quasi 3.300. Italia, Spagna e Francia hanno segnalato i peggiori focolai in Europa, mentre negli Stati Uniti ci sono stati più di 4.700 casi ufficiali.

Per la Cina, il programma di ritorno al lavoro, in corso da due settimane, porrà nuove sfide, tra cui la possibilità di una seconda ondata: «Con milioni di lavoratori che tornano alle fabbriche, cenano nelle mense comuni e dormono nei dormitori comuni, il rischio di una seconda ondata di infezioni potrebbe essere notevole», riporta l’Istituto per la Cina e lo sviluppo globale dell’Università di Hong Kong, ripreso da South China Morning Post. L’aumento della produzione è diventato una delle principali priorità dopo che vaste zone della seconda economia mondiale sono state chiuse per più di due mesi.

Fabbriche, imprese e scuole sono state chiuse per fermare la diffusione dell’epidemia di Covid19. Eppure, entro tre mesi dalla sua prima individuazione ufficiale a Wuhan, dicembre 2019, più di 110 paesi hanno segnalato casi di coronavirus.

A epidemia “chiusa”, nei grandi centri di produzione cinesi come Shanghai, Chongqing e le province di Guangdong, Jiangsu e Shandong, più del 90% dei produttori saranno operativi, perché l’aumento della produzione è diventata una delle principali priorità dopo due mesi di chiusura forzata e crolli economici collegati. E i rischi del ritorno del Covid19 potrebbero essere elevati. 

Antonio Albanese