CINA. Pechino vuole rottamare il carbone, ma non ha progetti green per l’idrogeno

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L’anno scorso, durante la crisi del Covid-19, la Cina ha approvato un numero quasi record di nuove centrali a carbone per aiutare numerosi governi provinciali a superare l’impatto economico della pandemia. Tuttavia, oggi il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato di fronte alle Nazioni Unite nel mese di settembre 2020 che il paese sarebbe diventato carbon free prima del 2060, senza dare un percorso chiaro né un barlume di dettagli necessari per raggiungere questo obiettivo ambizioso.

La massiccia costruzione di centrali a carbone in Cina sembrava minare l’impegno di Xi e suscitare più domande che risposte. Infine, a gennaio, un rapporto ambientale del ministero cinese dell’Ecologia e dell’Ambiente, ha fornito dati che sembrano agevolare l’obiettivo di Xi Jinping il quale ha chiesto spiegazioni alla Nea, National Energy Administration, sui motivi che hanno permesso all’industria del carbone di andare avanti con la sua massiccia sovra-costruzione di nuovi progetti, aggirando anche i regolamenti ambientali che potrebbero mettere in pericolo l’obiettivo di Xi di neutralizzare il carbonio, riporta Atf.

Il 5 febbraio, la Nea ha emesso una nuova bozza di politica sul carbonio, inviata alle agenzie locali dell’energia e agli operatori di rete per un periodo di consultazione, che dovrebbe terminare il 26 febbraio.

La Nea propone che la Cina generi il 40% della sua elettricità dal nucleare e dalle fonti rinnovabili entro il 2030. Di questo 40% di riferimento, il 25,9% è destinato a provenire da tecnologie diverse dall’idroelettrico, tra cui solare, eolico e nucleare. La Cina attualmente genera circa il 28% della sua elettricità da fonti rinnovabili, ma soprattutto dall’energia idroelettrica, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, Iea.

La bozza chiede di ridurre gradualmente le differenze tra tutte le province entro il 2030, con ogni provincia che ha lo stesso “peso di responsabilità” per il consumo di energia rinnovabile. Chiede anche una valutazione per consolidare lo sviluppo della generazione di energia eolica e solare entro il 2030 e raggiungere 1,2 miliardi di kilowatt o più per allora.

Secondo la bozza del piano, 6 miliardi di tonnellate di carbone standard sono destinati al consumo energetico entro il 2030, rispetto ai 5,12 miliardi di tonnellate del 2021. In particolare, la Cina è anche in ritardo rispetto alla scadenza di presentare un obiettivo di emissioni aggiornato per il 2030 alle Nazioni Unite, secondo il suo accordo nell’ambito dell’accordo sul clima di Parigi del 2015.

Tuttavia, ciò che il piano della Nea non menziona è l’idrogeno, fonte utilizzata da molti paesi del G20, Ue in testa.

Ben sei paesi europei e la Commissione europea hanno rilasciato strategie energetiche basate sull’idrogeno durante la crisi Covid-19 nel 2020, nella maggior parte dei casi come parte di un piano di recupero verde.

Gli investimenti annuali globali nell’idrogeno verde dovrebbero superare 1 miliardo di dollari entro il 2023, con l’Europa in testa.

La Cina, da parte sua, ha già la particolarità di essere di gran lunga il più grande produttore di idrogeno del mondo, producendo circa 20 milioni di tonnellate all’anno, un terzo del totale mondiale, secondo un rapporto del Green Belt and Road Initiative Centre.

Tuttavia, la Cina produce soprattutto idrogeno non green, bruciando il carbone, e lo usa soprattutto per processi industriali e chimici.

Per Pachino in questa fase, l’idrogeno sarebbe ancora più costoso della generazione di energia solare o eolica e non ha ancora raggiunto economie di scala. Anche se i costi di produzione dell’idrogeno verde sono scesi di circa il 40% dal 2015, e si prevede che scendano di un altro 40% entro il 2025, inducendo ancora più domande sul perché la Cina non ha mostrato molto interesse nel suo sviluppo dell’idrogeno verde.

Graziella Giangiulio