Lo scoppio della guerra tra Hamas e Israele rappresenta un test complesso per le aspirazioni della Cina a diventare un attore diplomatico chiave in Medio Oriente, proprio mentre Pechino stava cercando di mediare nuovi colloqui di pace.
All’inizio di quest’anno, la Cina si era impegnata a contribuire a facilitare i negoziati tra Israele e palestinesi. I media statali cinesi avevano promosso la possibilità di un accordo basato su una proposta in tre parti del presidente cinese Xi Jinping. Ma la guerra avrebbe infranto le speranze per il prossimo futuro, creando allo stesso tempo nuove sfide per la Cina.
Dopo che sabato Hamas ha lanciato un attacco a sorpresa, i paesi dell’Asia e di tutto il mondo hanno rapidamente condannato l’uccisione di civili, riporta Nikkei. A differenza di Stati Uniti, India, Giappone e altri, che si sono espressi con forza a sostegno di Israele, il governo cinese ha mantenuto una posizione neutrale.
La risposta ufficiale di Pechino all’attacco di Hamas di sabato ha chiesto un “cessate il fuoco immediato” e ha ribadito il suo sostegno a una soluzione a due Stati con uno Stato di Palestina indipendente come via d’uscita dal conflitto. Non ha condannato Hamas.
Più tardi domenica, il rappresentante permanente della Cina presso le Nazioni Unite, Zhan Jun, ha affermato che la Cina è preoccupata per l’escalation.
«L’importante è prevenire un’ulteriore escalation della situazione e delle vittime tra i civili», ha detto Zhang ai giornalisti prima di una riunione di emergenza sulla sicurezza a porte chiuse. «Condanniamo tutti gli attacchi contro i civili», ha sottolineato. Il presidente Xi non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione pubblica.
Storicamente, la Cina ha avuto stretti rapporti diplomatici con i leader palestinesi. Il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, quest’anno ha effettuato la sua quinta visita ufficiale in Cina nei suoi quasi vent’anni di mandato. Ma negli ultimi anni, la Cina ha anche approfondito le relazioni con Israele, investendo nelle infrastrutture e nel vivace settore tecnologico di Te Aviv.
La timida reazione iniziale di Pechino alla violenza non è passata inosservata; ma Pechino sembra più a suo agio nel svolgere un ruolo di mediatore. A marzo, la Cina ha mediato le discussioni tra Arabia Saudita e Iran, consentendo un riavvicinamento diplomatico. A giugno, la Cina ha delineato la sua visione per mediare la pace tra Israele e palestinesi. Ma così facendo, si è infilata in una situazione delicata e complessa.
Il silenzio di Pechino su Hamas mette in dubbio la sua capacità di realizzare le proprie ambizioni nella regione. In effetti, il conflitto potrebbe complicare ulteriormente le già tese relazioni della Cina con Washington.
Il ministero degli Esteri cinese ha sottolineato il 9 ottobre di condannare “tutte le violenze e gli attacchi contro i civili” e che “il compito più urgente ora è raggiungere un cessate il fuoco e ripristinare la pace”.
Lo stesso giorno, Global Times ha pubblicato un articolo in cui criticava il sostegno americano a Israele, sostenendo che ciò non farebbe altro che alimentare il conflitto.
«La cosa fondamentale è che la Cina non vuole essere risucchiata in questo conflitto (…) Ad un certo punto, quando le grandi potenze si incontrano e parlano di questa situazione, la Cina vuole solo sedersi al tavolo, e la differenza ora è che stanno prendendo la cosa più seriamente», riporta l’agenzi nipponica.
Lucia Giannini