CINA. La nuova colonizzazione cinese passa dalla via della Seta?

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La Cina finalmente sembra aver preso coscienza del fatto che l’economia mondiale è in stagnazione e lo è anche quella della Cina. Con il rischio di forti derive protezionistiche da parte degli USA. E forse è proprio per questo che la Cina sta pensando di dare vita ad una nuova via della seta: ipertecnologica, con infrastrutture da sogno che colleghino direttamente la Cina all’Europa orientale, Asia Centrale, Iran, Turchia.

Come a dire la Cina sta cercando di familiarizzare con il concetto di internazionalizzazione. Il lancio ufficiale è avvenuto il 14 maggio: “One Belt, One Road (OBOR)”, ri-batezzata da tutti come New Silk Road, durante il vertice dei capi di Stato e di governo. 28 i leader di nazioni ospitati da Xi Jinping  che a dire il vero, secondo gli analisti internazionali erano in Cina più per prendere che per partecipare. Eppure il presidente cinese ce l’ha messa tutta per dimostrare che la Cina comunista è anche un po’ liberale. 

Per esempio al Forum economico mondiale a Davos ha dichiarato che «Basta biasimare la globalizzazione economica per i problemi del mondo è incoerente con la realtà», sicuramente il presidente cinese pensava a Donald Trump mentre parlava. Il leader della nazione comunista più grande del mondo ha detto che la globalizzazione è un «grande oceano a cui non si può sfuggire», chiosando il protezionismo come «una stanza buia in cui essere bloccati». Sempre gli analisti dicono che le parole di Xi in realtà sono un calcolo molto oculato per rimettere in moto una macchina oramai ferma in piena stagnazione economica: la Cina. Gli investimenti per la OBOR, prevedono investimenti fino a 1,3 trilioni di dollari in progetti infrastrutturali che collegheranno il cuore industriale della Cina all’Europa occidentale sia attraverso le reti terrestri che di trasporto marittimo e di comunicazione.

Per l’occasione la Cina ha già messo sul piatto 40 miliardi di dollari in fondi per la silvicoltura, mentre l’AIIB sta assegnando ulteriori 50 miliardi di dollari. Più di 60 paesi hanno espresso interesse a far parte della nuova via della seta. Sulla carta il progetto non fa una piega: si cedono quote del debito americano tra i vari partecipanti al progetto, si sostengono le imprese stati che annaspano, si permette alla Cina di trovare nuove fonti di approvvigionamento, si riducono costi di export e soprattuto si trasformano i Paesi attualmente partner economici in debitori a lungo termine. A quanto pare, se osserviamo la Nuova Via della Seta da un altro punto di vista la Cina sta tentando di colonizzare delle terre senza usare gli eserciti.

Per esempio piccoli paesi in via di sviluppo come lo Sri Lanka rischiano di diventare debitori nel lungo periodo della Cina e quindi obbligati a rispondere in favore del Paese della Grande Muraglia quando la Cina in difficoltà politica chiamerà all’appello. I primi a essere preoccupati di questa politica espansionistica sono gli indiani che vedono transitare in Kashmir l’OBOR, zona in questo momento che sta vivendo forte tensioni interne. Altri paesi, dall’Indonesia alle Filippine e dalla Nigeria, hanno sollevato preoccupazioni per la qualità degli investimenti in infrastrutture cinesi, la loro conformità al buon governo e ai regolamenti ambientali e alla tendenza di Pechino ad impiegare non solo tecnologie e ingegneri cinesi, ma anche lavoratori cinesi per progetti esteri. Insomma più che una via della seta, una via irta di insidie.

Graziella Giangiulio