CINA. La governance del Terzo Mandato di Xi Jinping

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Da quando ha assunto il potere, Xi Jinping ha avuto un profondo impatto sulle istituzioni della governance cinese. Il cambiamento più importante è stato quello di eliminare la valvola di sicurezza fondamentale per l’attribuzione della responsabilità politica, ovvero l’idea di un processo decisionale collettivo.

Nell’era post-Mao, tutte le decisioni erano legate a un comitato. I documenti emessi dai gruppi superavano quelli emessi dalle singole figure di autorità, compreso il leader supremo, riporta AT.

Con le nuove regole di Xi, una sola persona è responsabile di ogni decisione politica. Xi si è messo a capo di molti dei gruppi che emettono le decisioni più importanti per la Cina. Questo significa certamente che più potere e responsabilità sono nelle sue mani; ma è meno chiaro se sappia cosa fare con questo potere.

È molto difficile avere un’influenza diretta sulla direzione di una delle organizzazioni più complesse del mondo, come il Partito comunista cinese e la Repubblica popolare. Seguire le sue politiche dall’inizio alla fine suggerisce che Xi utilizzi suoi uomini, mentre lui di tanto in tanto interviene per grandi manovre.

Le sfide pratiche del controllo sono raddoppiate dalla mancanza di un piano generale. Non esiste una “dottrina Xi”. Il presidente cinese crede fermamente nel ruolo del Partito come unica macchina politica adatta a gestire la nazione.

È molto meno chiaro quali siano le questioni del Partito che andrebbero seguite: nei discorsi di Xi vediamo un insieme spesso incoerente di posizioni politiche che spaziano da diatribe anti-occidentali a strategie che accolgono le imprese occidentali.

A giudicare dai suoi discorsi, Xi ritiene che gli eventuali errori della politica siano il risultato di una scarsa attuazione delle direttive centraline contempo sembra credere che un Partito Comunista più forte, disciplinato e controllato a livello centrale possa garantire una migliore governance della Repubblica. Il problema è come raggiungere l’eccellenza tecnocratica pur mantenendo un costante rapporto verso l’alto e una direzione politica centralizzata da parte del Partito.

Questo sistema si manifesta con regolari oscillazioni, di cui la giravolta sulle politiche anti covid è solo l’ultima evenienza. Xi ha inviato segnali sulla governance durante i suoi primi due mandati, creando una serie di incentivi misti che ora guideranno la governance cinese nei prossimi cinque anni del suo terzo mandato.

Invece di un governo che mette in pratica un’agenda creata da diverse esigenze e un ampio consenso, c’è un rischio elevato che le decisioni vengano rinviate verso l’alto fino a un improvviso sbalzo politico che tutti sono costretti a far rispettare. Questo rischio è amplificato dalla mancanza di un quadro di riferimento riconoscibile e dalla mancanza di incentivi per ottenere successi politici tecnocratici.

Per quanto riguarda i quadri dirigenti di partito, Xi non ha premiato coloro che hanno realizzato le sue riforme, come si è visto con la retrocessione dell’ex vice premier Hu Chunhua. Ora gli organi di vertice cinesi sono dominati da meri esecutori con esperienza nel governo regionale piuttosto che da specialisti delle politiche nazionali.

In economia, il rapporto tra il Partito e le grandi aziende tecnologiche cinesi rimane quantomai incerto. Sebbene ci siano stati casi di regolamentazione rigida che hanno comportato la distruzione della capitalizzazione di mercato, queste aziende sono essenziali per Xi e per il funzionamento della politica cinese. Senza i loro canali di distribuzione, la loro portata e i loro ingenti contributi finanziari, il programma di lotta alla povertà firmato da Xi, ad esempio, non sarebbe efficace.

Non è passato inosservato il fatto che Xi abbia indicato la soluzione della povertà estrema come il suo più grande risultato, ma abbia messo da parte sia il suo ispiratore, Hu Chunhua, sia gli attori del settore privato, cioè i giganti tecnologici, che l’hanno resa di fatto possibile.

Il modo in cui il resto del mondo vede la Cina e il modo in cui la Cina si relaziona con la comunità internazionale è ora dominato da una forte spinta dettata dal Partito. L’Occidente considera però il controllo politico del Partito comunista come incompatibile con un’economia di mercato e una società aperta. Ma il radicamento dell’economia di mercato, nonostante tutto, è profondo e la leadership cinese rimane decisamente favorevole al mercato, come testimoniano le riforme del mercato dei capitali volute da Xi Jinping.

All’alba del suo terzo mandato, Xi Jinping ha fatto delle dichiarazioni politiche che rimangono contrastanti. Se una delle priorità è stata la sicurezza e la localizzazione della ricerca e dello sviluppo cinese, allo stesso tempo, c’è la volontà di accedere sia ai mercati che ai talenti esteri così come attrarre e utilizzare gli investimenti stranieri per lo sviluppo cinese.

I nuovi motori di crescita indicati dalla convenzione del partito sono: manifattura avanzata, intelligenza artificiale e big data e un’economia verde guidata da veicoli elettrici ed energie rinnovabili; tutti questi richiedono un profondo impegno internazionale che comunque vorrà incidere sulla governance di Pechino. Come verrà realizzata questa influenza è tutt’altra questione.

Antonio Albanese

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