
Siamo tutti rimasti a seguire la questione dei palloni spia cinesi sul territorio statunitense, ma c’è ben altro. La Repubblica popolare cinese opera su una scala completamente diversa e molto più ampia.
Non è solo il ministero della Sicurezza di Stato a schierare agenti per reclutare spie. La legge cinese sull’intelligence nazionale del 2017 richiede esplicitamente a tutte le aziende e i cittadini cinesi di prestare assistenza: «Un’organizzazione o un cittadino deve sostenere, assistere e cooperare nel lavoro dell’intelligence nazionale in conformità con la legge e mantenere riservato il lavoro dell’intelligence nazionale che conosce. Lo Stato proteggerà la singola organizzazione che ha sostenuto, assistito o collaborato al lavoro di intelligence nazionale».
Quindi anche i civili partecipano allo spionaggio nazionale.La legge no ha detto nulla di nuovo: anche prima del 2017 sarebbe bastato un “invito per il tè” da parte dei servizi di sicurezza a un cinese per sapere cosa ci si aspettava, riporta AT.
Ogni azienda o cittadino cinese ovunque è una potenziale piattaforma per lo spionaggio. Anche le persone di origine cinese possono essere costrette ad assistere, cioè le seconde generazioni. Ciò è particolarmente vero se hanno famiglia, interessi commerciali o qualsiasi altra cosa che li ricolleghi alla Madrepatria. Se ne sono accorti bene i francesi che hanno avuto e stanno avendo i loro bei problemi con lo “spionaggio cinese in casa”.
Pechino utilizza satelliti, intercettazioni elettroniche e operazioni informatiche, nonché le loro società e hardware per entrare nelle telecomunicazioni e nelle reti elettriche di molti paesi attraverso una campagna commerciale che ha visto i prodotti cinesi essere venduti a costi economici quasi irresistibili.
Ovvio che laddove c’è uno strumento che cattura informazioni. lo stesso può diventare anche uno strumento offensivo.
Se ne stanno accorgendo, forse in un clima da caccia alle streghe gli statunitensi che hanno il timore di veder strumentalizzate a tale fine le loro libertà civili: la libertà di movimento, la libertà di definirsi giornalista e la libertà di acquistare immobili situati strategicamente per fungere da piattaforme di raccolta, ad esempio.
La Cina va a caccia sì di segreti militari e di stato, ma anche di segreti commerciali e proprietà intellettuale l’idea è di “saltare le tappe” e far avanzare lo sviluppo economico della nazione.
Ad esempio, il direttore dell’Fbi Christopher Wray ha denunciato che il Bureau sta aprendo un caso di controspionaggio che coinvolge la Cina ogni 12 ore. Ma. è logico che per ogni caso che aprono, probabilmente ne mancano 100.
L’Fbi accusa regolarmente e poi a volte punisce le spie cinesi e i loro associati, inclusi gli americani. Il cittadino cinese americano che ha aiutato lo spionaggio di stato a rubare i piani dell’aereo da trasporto C-17 è stato sì condannato e ha ricevuto solo quattro anni di carcere.
Restando negli States, sembra che la sicurezza a stelle e strisce abbia “trascurato” lo spionaggio cinese. E i dati cominciano a venire fuori ora: la società di sicurezza privata Strider ha riferito nel 2022 che, dal 1987 al 2021, almeno 162 scienziati cinesi che avevano lavorato a Los Alamos, sono tornati a casa per contribuire ai programmi di ricerca e sviluppo della Cina, sopratutto in chiave dual use, oltre chele settore nucleare.
A detta degli esperti d’intelligence Usa, le amministrazioni americane hanno per lo più ignorato il problema. Quando gli hacker cinesi hanno rubato 23 milioni di file dell’Office of Personal Management nel 2015, l’amministrazione Obama si è rifiutata di pronunciare la parola “Cina”.
Al contrario, il presidente Trump ha chiuso il consolato cinese di Houston, e ha costretto il Dipartimento di giustizia a lanciare l’iniziativa cinese contro le spie cinesi nelle università statunitensi.
Poco dopo essere entrato in carica, Biden ha chiuso la China Initiative. Gli accademici americani avevano affermato che era razzista. Il governo degli Stati Uniti ha revocato la licenza di China Telecom nel 2021, anche se con due decenni di ritardo.
Antonio Albanese