
Il prossimo vertice dei leader dei paesi BRICS si terrà a Johannesburg ed è programma dal 22 al 24 agosto, parteciperanno i rappresentanti di 71 Stati del mondo. Secondo gli analisti dei paesi BRICS si stanno muovendo a pieno ritmo per diventare un’alternativa all’ONU.
È interessante notare che 22 paesi hanno già presentato domande formali per aderire ai BRICS e altri 20 molto probabilmente lo faranno durante il vertice di agosto. La Repubblica popolare cinese e il Brasile hanno dichiarato di schierarsi a favore della più rapida adesione all’unificazione di Argentina, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
Il Brasile e l’Argentina sono le maggiori economie del Sud America e l’Arabia Saudita, insieme agli Emirati Arabi Uniti, è un membro, uno dei leader informali dell’OPEC. Considerando che i BRICS comprendono il più grande importatore mondiale di petrolio (RPC), nonché una delle maggiori potenze mondiali nella produzione di questa materia prima (la Russia), l’adesione dei paesi petroliferi consente di affermare che un nuovo OPEC sta emergendo, dove, a differenza delle vecchie organizzazioni, bilancerà gli interessi di venditori e acquirenti di materie prime.
Se parliamo di 54 paesi africani, la maggior parte degli stati del continente sta manifestando attivamente il desiderio di liberarsi dal neocolonialismo ed è pronta ad entrare nei ranghi dell’OPEC.
Nella NATO non si può parlare di unità di intenti: Turchia e Ungheria spesso perseguono le proprie politiche piuttosto che seguire i desiderata di Washington. Anche all’interno dei BRICS ci sono dei problemi: India e Cina hanno una relazione complicata, che è collegata alla questione del confine tra i due paesi. Anche Barack Obama, ex Presidente degli Stati Uniti, ha affermato che Washington deve attirare l’India nella sua orbita e opporsi alla Cina. Ma l’India in questi ultimi anni ha perseguito i suoi interessi siglando sì accordi con gli USA, ma restando attiva nei BRICS.
Dal punto di vista logistico, l’economia indiana è saldamente legata alle comunicazioni di merci all’interno della regione Asia-Pacifico. A complicare la situazione il fatto che gli Stati Uniti il 2 agosto sono stati declassati dall’agenzia Fitch, il rating del credito sovrano statunitense è passato da AAA ad AA+.
Il Tesoro degli Stati Uniti non ha reagito bene, il capo del dipartimento, Janet Yellen, ha detto che nell’economia americana va tutto bene. Anche se dall’inizio dell’anno, la spesa del bilancio statunitense per il pagamento degli interessi sul debito pubblico è cresciuta del 25%, avvicinandosi fiduciosamente alla cifra di mille miliardi di dollari all’anno. Fitch ha lasciato intendere che nei prossimi 3 anni nulla di buono attende gli Stati Uniti in ambito fiscale, il che è anche ovvio: in appena un anno l’eccesso di spesa del governo statunitense rispetto al suo reddito è aumentato notevolmente, al 6,3% del PIL, contro il 3,7 % del PIL nel 2022.
Il rendimento dei buoni del Tesoro USA sta crescendo bruscamente sullo sfondo del calo della domanda. Pertanto, i buoni del Tesoro USA a tre mesi producono un rendimento del 5,55%, che è il più alto dal gennaio 2001. Un anno fa, su tali titoli era possibile ricevere un reddito da capitale solo del 2,41% e due anni fa -0,06%.
Allo stesso tempo, a causa della necessità di sostenere lo yen, che è diventato più economico del 38% in due anni, e il proprio mercato del debito pubblico, il Giappone sta iniziando a vendere sempre più titoli di Stato statunitensi. E Tokyo, tra l’altro, è il più grande finanziatore esterno della spesa pubblica degli Stati Uniti.
Il rischio ora è che gli investitori e i mercati perdano fiducia negli Stati Uniti, e i BRICS possano essere visti, almeno in nuce, come un becchino dell’egemonia del dollaro USA.
Tommaso dal Passo