BRASILE – Brasilia. 12/09/14. Conciliare gli interessi dei popoli indigeni e contadini per porre fine alla controversie in materia di proprietà di terriera è una delle sfide che deve affrontare il prossimo presidente.
Egli dovrà trovare il modo di fare quello che la Costituzione ha sancito 26 anni fa: demarcare le terre tradizionali rivendicate dalla popolazione indigena. Molte di queste terre oggi sono occupate da agricoltori, un settore che rappresenta il 23% del prodotto interno lordo (PIL) e il 44% del totale delle esportazioni nazionali.
«Questa sarà probabilmente la sfida più grande per il prossimo governo, si tratta di prendere una posizione su due visioni del mondo diverse, due concezioni dello sviluppo», afferma l’antropologo e professore presso l’Università del Federal Fluminense (UFF) Oiara Bonilla alla Brasile Agency. Oiara ricorda che la controversia tra coloro che difendono gli interessi dei settori quali l’agricoltura e l’industria si scontra con quella sostenuta dai modelli di organizzazione e di produzione sostenibile e questioni pressanti come il cambiamento climatico e le nuove fonti di energia.
«La risposta a tutto questo richiede una posizione chiara da parte dei governi. Quindi, essendo molto realistico, credo che la tendenza è che, indipendentemente da chi vincerà le elezioni, la questione indiana rimane indisponibile in balia di interessi momentanei», dice l’antropologo. «Il problema è che non c’è la volontà politica di affrontare questo problema presto, diventerà sempre più complicato affrontarlo».
La Costituzione federale del 1988 riconosce il diritto dei popoli indigeni alle terre che occupavano in passato. E possono utilizzare per le loro attività di produzione ciò che è indispensabile per la conservazione delle risorse naturali alla comunità benessere e riproduzione fisica e culturale di queste persone secondo le proprie usanze e tradizioni. Ma queste terre anche se destinate alla proprietà permanente e usufrutto indigena, queste aree appartengono allo Stato, che dovrebbe concludere la demarcazione delle terre indigene entro cinque anni dalla promulgazione della Costituzione, vale a dire, 5 Ottobre, 1993.
«La grande sfida del futuro è l’attuazione del governo che istituisce la Costituzione del 1988, per quanto riguarda i diritti delle popolazioni indigene, il riconoscimento e la delimitazione dei loro territori», dice il segretario esecutivo del Consiglio Indigeno Missionario (CIMI), Cleber Buzatto. Secondo Buzatto il ritardo e l’eventuale interruzione delle procedure di demarcazione possono sociale in conflitti tra indios e contadini, come avere altri effetti per le comunità indigene e per il settore agricolo. Nel caso degli indiani, per cui la terra è un bene collettivo, con un significato speciale, la mancanza di un territorio dove si possono conservare e sviluppare la loro cultura porta anche a una mancanza di cure adeguate, alti tassi di mortalità infantile e di suicidio, minacce da grandi imprese e morti. Per quanto riguarda gli agricoltori, il risultato del conflitto è l’incertezza giuridica.
Secondo il Consiglio, solo nel 2013, almeno 53 indiani sono stati uccisi a seguito di conflitti per la terra controversia.