BOSNIA ERZEGOVINA. Schmidt impone una riforma elettorale a urne chiuse

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Domenica 3 ottobre i cittadini di Bosnia Erzegovina sono stati chiamati alle urne per le elezioni generali. Si è votato con uno dei sistemi elettorali più complessi al mondo, erede dell’accordo di Dayton che nel 1995 definì l’assetto istituzionale che è tuttora in vigore a Sarajevo. Nello stesso giorno, infatti, si sono svolte le elezioni amministrative locali per la guida dei dieci cantoni in cui è suddiviso il paese, ma anche il voto per la guida delle due entità federate, la Republika Srpska e la Federazione di Bosnia Erzegovina. Ma soprattutto, si sono svolte le elezioni per la presidenza tripartita, ovvero per i rappresentanti dei tre popoli costitutivi (bosgnacchi, croati e serbi), che per i prossimi quattro anni si alterneranno alla guida del paese.

L’attuale membro serbo della presidenza, Milorad Dodik, vede a rischio la sua riconferma (probabilmente verrà rieletto con un margine stretto di preferenze). Si tratta del leader di area balcanica più legato al Cremlino, che negli ultimi anni ha sempre compromesso la tenuta del sistema statale bosniaco promuovendo una serie di riforme che garantirebbero una maggiore autonomia alla Republika Srpska. Anche se venisse riconfermato, Dodik dovrà confrontarsi con il neoeletto membro bosgnacco Denis Bećirović e il rappresentante croato Zeljko Komsić, entrambi di area riformista.

Ma non sono soltanto i risultati delle elezioni generali a definire la guida del paese e la stabilità di tutta l’area balcanica. L’accordo di Dayton prevede infatti anche la figura dell’Alto rappresentante, un garante esterno che ha il compito di presidiare l’implementazione delle condizioni stabilite nel 1995. Attualmente è in carica il politico tedesco Christian Schmidt, membro della CSU che un tempo faceva parte del governo di Berlino guidato da Angela Merkel. L’Alto rappresentante non deve soltanto supervisionare il rispetto dell’accordo, a lui sono anche attribuiti i cosiddetti poteri di Bonn, che gli permettono di prendere decisioni unilaterali e vincolanti se le istituzioni locali si dimostrano incapaci di agire.

La principale novità del voto del 3 ottobre è la decisione di Schmidt di utilizzare i poteri di Bonn per imporre una riforma del sistema elettorale che richiedeva dalla nomina nel 2021. La riforma riguarda il parlamento locale della Federazione croato-musulmana di Bosnia Erzegovina, e prevede che se in un distretto uno dei tre popoli costitutivi non raggiunge il 3% della popolazione totale, questo non potrà eleggere un rappresentante della stessa etnia alla Camera dei Popoli (prima ogni cantone eleggeva un rappresentante croato, un serbo e un bosgnacco indipendentemente dalle percentuali).

Si tratta di un cambio che permetterebbe di superare dei continui impasse che si creano a Sarajevo, e che garantirebbe una più equa rappresentanza delle etnie che compongono una delle due entità federate della Bosnia Erzegovina. A far discutere è stata la scelta di Schmidt di annunciare la decisione a urne chiuse, anche se l’Alto rappresentante ha sottolineato che questo non riguarda i risultati delle elezioni del 2022. Serviranno ancora quattro anni, quindi, per capire se questo cambio di sistema davvero sarà in grado di impedire un deterioramento del sistema politico bosniaco.

Carlo Comensoli