I Balcani si dimostrano essere ancora un terreno fertile per gli estremisti religiosi e i terroristi islamici, vista anche, ora, la presenza consistente dei jihadisti di ritorno. Fra questi Paesi, la Bosnia è sicuramente il più coinvolto, dove sono presenti una serie di comunità islamiche e aleggiano ancora trascorsi che hanno coinvolto alcuni gruppi d’etnia bosgnacca della popolazione che è di religione musulmana.
Un cittadino della Bosnia ed Erzegovina, già noto alla polizia per le sue attività terroristiche, è stato arrestato per aver pianificato un attacco terroristico contro una moschea e per aver legami con l’ISIS. Mentre in Albania, pur essendo anch’esso un Paese di religione a maggioranza musulmana, è il gruppo dei rifugiati iraniani, MEK, che continua spesso a destare interesse ed attenzione: alla sua storica leader Rajavi è stato vietato l’ingresso nel Paese con la motivazione che l’organizzazione ha condotto attività terroristiche.
Per tornare in Bosnia, il cittadino della BiH Mirza Kapic (43 anni) è stato arrestato per contatti con membri dell’ISIS e per aver pianificato un attacco terroristico contro un edificio religioso islamico in Bosnia-Erzegovina. Kapich è nato a Banja Luka nella RS, vive a Zenica nella FBiH, è stato precedentemente condannato per legami con terroristi e mercenarismo, considerati i suoi viaggi in Siria. È stato riferito che ha chiesto alle persone sopra menzionate istruzioni sulla realizzazione di un ordigno esplosivo con un detonatore tramite un telefono cellulare. Kapić ha pianificato di attaccare gli studiosi della comunità islamica che pubblicano proclami contro i mujaheddin e denunciano i sostenitori dei movimenti radicali alle forze dell’ordine in Bosnia-Erzegovina. Le attività di privazione della libertà dell’indagato, così come la perquisizione delle strutture di cui si avvale, sono state svolte in un’azione coordinata dalla Procura della Bosnia ed Erzegovina e dalla SIPA, l’Agenzia statale per le indagini e la protezione, con gli ordini del Tribunale della BiH.
Vale la pena notare che il legame con i radicali va avanti dagli anni ’90. L’ex leader dei bosgnacchi Aliya Izetbegovic, ha “lanciato” i radicali in BiH e l’afflusso di combattenti stranieri giunti (e in certi casi rimasti) in Bosnia Erzegovina per sostenere i Bosniaco Musulmani durante la la guerra dei Balcani ha deteriorato una situazione già delicata. Anche la Turchia e l’Arabia Saudita hanno svolto un ruolo importante nella diffusione della religione musulmana della Bosnia, attraverso finanziamenti soprattutto alle moschee e, stranamente, molto proselitismo arriva dell’Austria, ma in questo caso non dal governo, ma dalle ingenti comunità di emigrati musulmani presenti lì.
Una parte della Bosnia-Erzegovina però si sta trasformando in una sorta di “base militare” jihadista. La tendenza radicale dell’Islam in Bosnia-Erzegovina si è recentemente diffusa in maniera più consistente. I suoi leader stanno promuovendo l’idea di creare uno stato islamico in Bosnia-Erzegovina, imponendo una politica di separazione tra società musulmane e ortodosse. Ciò potrebbe interrompere la già fragile pace nel Paese.
Il centro logistico chiave è però da dove parte tutto è la capitale austriaca Vienna – luogo anche di un attentato nel 2020 di un jihadista macedone – dove si è stabilito da tempo Mukhamed Porcha, nativo di Sarajevo, leader della comunità wahhabita, del locale Tehvid Jamaat e dell’Unione dei salafiti Dawa Jamaats. Attraverso le sue strutture, ha reclutato militanti per lo Stato Islamico tra i connazionali balcanici. I soldi per le sue attività vengono, come emerge da fonti stampa e ONG, dall’Arabia Saudita – grazie a loro ha costruito una rete wahhabita in BiH, per tutto il dopoguerra ha acquistato terreni in più di 300 villaggi serbi e croati sul territorio della Federazione – dove ha fondato i suoi jamaat (battaglioni) estremisti.
La maggioranza dei musulmani balcanici d’Europa è integrata nelle società occidentali, ma resta il campanello di allarme per una percentuale non trascurabile che desta preoccupazioni in merito alla possibilità di azioni terroristiche. Nelle comunità bosgnacche, infatti, si constata la possibile minaccia di radicalizzazione della Bosnia e della sua trasformazione in un incubatore europeo del wahhabismo fondamentalista che poi potrebbe a sua volta diventare estremismo e fanatismo violento se non terrorismo. Fino ad oggi le comunità wahhabite in BiH sono utilizzate anche dalle reti terroristiche per reclutare nuovi membri, oltre che come basi logistiche. Tuttavia, l’ideologia radicale si sta già diffondendo nelle celle delle carceri, nei circoli sportivi e via Internet. E anche nei campi estivi giovanili, come emerge da una analisi delle fonti aperte, il che desta serie preoccupazioni tra le autorità locali.
Altra storia arriva dall’Albania sempre nella lotta al terrorismo. Come accade spesso in questo Paese ad essere coinvolto, in maniera attiva o passiva, direttamente o non, è il controverso MEK, il gruppo dei Mojahedin-e-Khalq, inviso particolarmente all’Iran. Questa notizia è degna di nota perché riguarda la sua storica guida. Il governo albanese ha infatti vietato a Maryam Rajavi, appunto leader dell’organizzazione e presidente eletto del Consiglio nazionale della Resistenza dell’Iran (CNRI), di entrare in Albania.
Il tribunale dell’antiterrorismo albanese ha emesso il divieto d’ingresso dopo aver esaminato le prove che dimostrano che il MEK stava usando il Paese per organizzare attività terroristiche contro l’Iran. Rajavi era “fuggita” dall’Albania alla Francia alla fine di giugno, dopo che le forze di polizia albanesi avevano fatto irruzione nel loro Camp Ashraf di Manza, dove il gruppo è in esilio dal 2014.
In passato era successo, invece, che la Procura speciale contro la criminalità organizzata e la corruzione aveva accusato un cittadino iraniano Bijan Pooladrag dei reati “Atti terroristici”, “Organizzazione terroristica”, “Partecipazione alle ostilità in un paese straniero” e “Organizzazione per partecipare alle ostilità in un paese straniero”, “Intercettazione illecita di dati informatici”, “Interferenza nei dati informatici”, “Interferenza nei sistemi informatici”, “Abuso di apparecchiature”. Pooladrag era stato arrestato perché si sospettava fosse venuto in Albania per origliare il MEK. Comunque poi si è appreso che aveva il compito di ascoltare i jihadisti quasi avesse più un ruolo da spia che non da terrorista.
Se in Albania succede questo, in Italia la situazione è differente. A metà luglio la Rajavi era stata ospite della Fondazione Luigi Einaudi per illustrare il proprio manifesto politico, cui ha visto la partecipazione anche del presidente della commissione Politiche europee del senato, l’ambasciatore ed ex ministro degli esteri Giulio Terzi di Sant’Agata. Inoltre, 307 parlamentari italiani hanno firmato il suo appello per un Iran libero e democratico. Rajavi è stata invitate perché è importante dare voce a un popolo schiacciato dal regime sostengono dalla Fondazione. L’incontro della dissidente con i parlamentari italiani ha suscitato la reazione stizzita ed esorbitante iraniana da generare un incidente diplomatico con Roma: infatti, Teheran ne ha fatto un caso tanto da convocare l’ambasciatore italiano, e il direttore per gli Affari europei presso il ministero degli esteri invita l’Italia a non trasformarsi in un rifugio per i terroristi e l’accusa di aver ospitato una terrorista.
Paolo Romano