L’Azerbaigian ha lanciato una campagna mediatica contro la Russia. Il pretesto è chiaro: il presunto uso di missili russi contro obiettivi azeri nei giorni finali della guerra nel Nagorno Karabakh dell’anno scorso.
La campagna è iniziata il 2 aprile, quando l’agenzia statale di sminamento dell’Azerbaigian Anama ha annunciato di aver trovato resti di due missili Iskander esplosi mentre stava rimuovendo gli ordigni a Shusha. Questa notizia ha riacceso la controversia sull’uso o meno dei missili da parte dell’Armenia durante la guerra, una questione che in precedenza aveva portato a una grave crisi politica in Armenia, ma da cui l’Azerbaigian aveva scelto di rimanere fuori, riporta Bne Intelligence.
Quando il primo Ministro armeno Nikol Pashinian aveva affermato a febbraio che l’Armenia aveva usato i missili Iskander, ma che “il 90% di essi non è esploso”, il presidente azero Ilham Aliyev aveva deriso Pashinian per aver fatto “un altro fiasco”.
Ora, però, il tono da Baku è cambiato. E l’annuncio dell’Anama includeva un’accusa extra: i missili usati contro Shusha non erano la variante Iskander E, quella da export in mano all’Armenia, ma la variante M, utilizzata solo dalla Russia. E il rapporto è stato seguito da una campagna mediatica coordinata contro la Russia.
Come accade di solito in questo tipo di casi, gli alti funzionari azerbaigiani, tra cui Aliyev, sono stati relativamente silenziosi. Il 12 aprile, all’inaugurazione ufficiale di un nuovo “Parco dei Trofei Militari” dove gli Iskander erano in mostra, ha detto: «Gli armeni hanno sparato a Shusha con questi missili Iskander-M. Da dove hanno preso questi missili i militari armeni? Non avrebbero dovuto averli».
Il giorno dopo, Aliyev ha riferito che in una conversazione telefonica con il suo omologo russo Vladimir Putin, due settimane prima, e ha detto: «Abbiamo discusso questa questione. Su mio ordine, il ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha inviato una lettera ufficiale con fotografie, prove. Ma finora non abbiamo ricevuto alcuna risposta».
Il lavoro più sporco, nel frattempo, viene fatto da fonti semi-ufficiali che accusano direttamente Mosca. Il Cremlino nega tutto: il portavoce di Putin, Dmitriy Peskov, ha confermato che gli Iskander (di qualsiasi varietà) non erano stati usati nella guerra e che non avevano informazioni sulla provenienza delle prove dell’Azerbaigian.
In passato, l’Armenia ha effettivamente ottenuto la variante M dalla Russia: nel 2018 Kommersant citando fonti dell’industria della difesa russa, aveva detto che l’Armenia avesse ottenuto una divisione dei sistemi Iskander M nel 2016. «perché l’Armenia non aveva altre opzioni per difendersi in caso di un attacco azero al Nagorno-Karabakh».
Le prove pubblicamente disponibili, però, non provano se sia stata usata la versione E o la M. A questo punto, però, la domanda, ancora senza risposta, è cosa Baku stia ora cercando di ottenere da Mosca.
Non sembra che ci sia una questione specifica, ma piuttosto un’insoddisfazione generale per il nuovo ruolo della Russia come mediatore unico tra le due parti, compresa la missione di pace.
La diade Russia-Azerbaigian è probabilmente la relazione più importante per determinare i futuri contorni del conflitto. È stato l’intervento della Russia dopo la vittoria dell’Azerbaigian a Shusha che ha impedito all’Azerbaigian di completare rapidamente la sua conquista di tutto il Nagorno-Karabakh, ed è la missione di pace russa che rimane l’unica cosa che protegge i civili armeni rimasti oggi in Karabakh. Non è chiaro come la Russia abbia convinto l’Azerbaigian a fermare la sua offensiva, e non è chiaro come Mosca intenda convincere Baku a prolungare il mandato della missione di pace quando scadrà alla fine del 2025.
L’Azerbaigian potrebbe anche appoggiarsi alla Russia in modo che la Russia a sua volta si appoggi all’Armenia per fare alcuni dei passi che l’Azerbaigian ha chiesto, come ritirare le forze militari armene dalla regione e fornire le mappe delle mine terrestri che la parte armena ha posato durante la guerra. Tutte queste trattative sono opache, tuttavia, e la Russia non vuole scoprire le sue carte. Un paio di altri sviluppi questa settimana hanno solo aggiunto al numero di parti in movimento.
Graziella Giangiulio