AUSTRALIA. Pechino colpisce duro l’economia di Canberra

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Il mese scorso la Cina ha annunciato l’imposizione di una tariffa quinquennale dell’80 per cento sull’orzo australiano, per evitare quello un possibile dumping australiano.

La Cina l’anno scorso ha acquistato i nove decimi dell’orzo coltivato nella Wheatbelt australiana, una regione delle dimensioni del Bangladesh che circonda la capitale dello stato di Perth.

Secondo Nikkei Asian Review, la vera ragione alla base della tariffa sarebbe la rabbia cinese per la spinta dell’Australia verso un’indagine internazionale indipendente su come è stata inizialmente gestita la pandemia del coronavirus, che ha avuto origine nella città cinese di Wuhan.

Da allora, Pechino ha anche imposto le tariffe e i divieti di importazione della carne bovina australiana e ha messo in guardia i suoi cittadini dal recarsi nel Paese, per presunta discriminazione nei confronti degli asiatici. Cheng Jingye, ambasciatore della Cina a Canberra, in aprile aveva detto che la spinta dell’Australia per un’inchiesta su Covid-19 avrebbe potuto innescare un boicottaggio dei consumatori cinesi nei confronti di studenti e turisti in visita in Australia, così come le vendite di popolari esportazioni agricole come la carne bovina e il vino.

La Cina è il più grande partner commerciale dell’Australia, con il 26% dei suoi scambi con il mondo, con le esportazioni australiane verso la Cina che l’anno scorso hanno raggiunto la cifra di 153 miliardi di dollari australiani. Un altro segno del peggioramento delle relazioni bilaterali è stato l’annuncio, nel fine settimana, della condanna a morte dell’australiano Cam Gillespie, arrestato sette anni fa con l’accusa di traffico di droga nella Cina meridionale.

Il ministro del Commercio australiano Simon Birmingham ha detto di poter «capire perché la gente faccia un collegamento» tra le azioni della Cina e le «richieste di un’indagine Covid-19» dell’Australia, mentre il ministro degli Esteri Marise Payne ha definito inappropriata la risposta della Cina.

La Cina ha intensificato con forza la sua retorica: la settimana scorsa, il ministero dell’Educazione del Paese ha lanciato un monito sugli studi in Australia, citando un aumento marginale di episodi di razzismo contro gli asiatici, alcuni accusati di aver diffuso la pandemia. Analogo avvertimento del ministero della Cultura e del Turismo, secondo cui i suoi cittadini non dovrebbero recarsi in Australia per lo stesso motivo.

L’istruzione internazionale è la terza maggiore esportazione dell’Australia, con studenti cinesi che hanno portato nelle casse australiane un valore di 12 miliardi di dollari australiani l’anno scorso. Ma con i confini dell’Australia ora chiusi ai cittadini stranieri per prevenire una seconda ondata di infezioni da Covid-19, gli avvertimenti della Cina non avranno alcun effetto reale.

Il divieto di esportazione da quattro grandi macelli australiani per le accuse di etichettatura alimentare impropria fatta dalla Cina è stato fatto solo pochi giorni dopo che la tariffa sull’orzo è entrata in vigore, annullando 200 milioni di dollari australiani al mese di commercio e mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro in Australia.

Tuttavia, mentre i consumatori cinesi possono sopravvivere senza le bistecche dell’Australia, i produttori di acciaio cinesi non possono fare a meno del minerale di ferro australiano, che rappresenta i due terzi delle sue importazioni; inoltre, l’industria cinese è anche profondamente dipendente dal gas naturale australiano e – in misura leggermente minore – dal carbone australiano, e importa molto di più di queste risorse di quanto non fosse prima di Covid-19.

Luigi Medici