ITALIA – Roma 10/01/2014. Una Nato del Pacifico è alle porte? Non sembra essere una idea tanto peregrina. L’Asean ci batte da un po’ di tempo e i nuovi scenari apertosi dalla rinnovata assertività cinese sul Mar Cinese potrebbero giustificarne la creazione.
Sono questi i punti cardine di un’analisi dell’ammiraglio James A. Lyons, già comandante in capo della flotta del Pacifico degli Stati Uniti e rappresentante militare degli Stati Uniti alle Nazioni Unite e di Richard D. Fisher, senior fellow dello Strategy Center, uscita su stratrisk.com. «Il nuovo presidente della Cina, Xi Xinping , ha abbandonato la cauta politica estera di Deng Xiaoping improntato sull’asse: “aspettare il nostro tempo, nascondere le nostre capacità”, aumentando la presenza militare e sfidando militarmente gli alleati asiatici e la leadership degli Stati Uniti (…) La nostra attuale strategia di non affrontare direttamente la Cina e sperare che la Cina cambi la sua tattica aggressiva chiaramente non funziona. Pertanto, è necessaria una nuova strategia se vogliamo mantenere la nostra posizione di leadership come elemento chiave nel mantenimento della pace e della stabilità nel Pacifico occidentale e per costringere la Cina a cambiare atteggiamento militare», sui legge nell’analisi. «Tale nuova strategia richiede un approccio evolutivo (…) Molti stati asiatici preferiscono collaborare militarmente con gli Stati Uniti su base bilaterale (…) una “Asian Nato” sarebbe l’ideale, ma oggi è semplicemente irrealistica. Tuttavia, durante il vertice Asean di metà dicembre, Giappone e nazioni del Sudest asiatico hanno mostrato segnali positivi coi essere pronte a collaborare più strettamente per contrastare le azioni aggressive della Cina (…) Molti dei paesi Asean preferiscono una cooperazione informale di difesa, che permette agli Stati Uniti di agire come stabilizzatore regionale; una situazione vantaggiosa per la Cina: per decenni, la Cina ha condotto un conflitto a bassa intensità contro Taiwan; ha strutture costruite illegalmente sulle isole contestate nel Mar Cinese Meridionale, ha molestato le Filippine e sta cercando di innescare un confronto con il Giappone nel Mar Cinese Orientale. Con il suo imponente riarmo militare, la Cina raggiungerà presto la tradizionale capacità di proiezione militare (…) per potenzialmente impedire l’intervento degli Stati Uniti. Per dissuadere meglio tali azioni cinesi» affermano Lyons e Fisher, «abbiamo bisogno di creare meccanismi informali che consentano ora un’alleanza marittima asiatica. Gli Stati Uniti possono prendere l’iniziativa estendendo e approfondendo i trattati bilaterali di mutua difesa già esistenti. Abbiamo quindi bisogno di
estendere i nostri informali modelli attuali di cooperazione facendo leva sulla nostra capacità di gestire sicure comunicazioni digitali per costruire una cooperazione virtuale che possa preparare il campo per una effettiva cooperazione militare. Un passo preliminare sarebbe quello di trasformare le Rimpac oggi biennali in esercitazioni annuali e offrire ai partecipanti la possibilità di partecipare ad un staff congiunto di pianificazione multilaterale continua per approfondire i meccanismi di cooperazione e consentire reazioni più rapide di fronte ad un’aggressione cinese. Questa organizzazione potrebbe riunirsi a Guam (…) Le esercitazioni dovrebbero essere condotte a due livelli: un primo livello di coordinamento e di cooperazione militare e un secondo livello per la Guardia Costiera, le operazioni umanitarie e di pronto soccorso (…) Ad esempio , sarebbe più facile in questa maniera partecipare ad operazioni di soccorso a e da Taiwan, la cui posizione geostrategica è fondamentale per qualsiasi futuro sistema di stabilità per gli Stati asiatici. Si darebbe anche a paesi come India, Malesia e Indonesia l’opportunità di cooperare senza aderire a un’alleanza».