L’ininfluenza saudita

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ARABIA SAUDITA – Riad 04/11/2013. L’Arabia Saudita è irritata per come stanno andando le cose in Siria ed ai recenti sviluppi medio-orientali. Saud e Turki Al- Faisal , oltre a Bandar bin Sultan, non hanno lasciato dubbi sul fatto che l’Arabia Saudita sia preoccupata dalle recenti posizioni statunitensi su Siria e Iran.

Nell’ultimo decennio, riporta al Monitor, l’Arabia Saudita ha lottato per assicurare al proprio popolo e alla comunità internazionale di essere ancora importante: per il petrolio e per la sua volontà di guidare il mondo arabo. La realtà è però molto diversa: Riad ha consolidato sì la sua partnership con l’Occidente all’ombra della guerra fredda ma nel contempo anche la dipendenza dell’Occidente dall’Arabia Saudita per tutte le questioni regionali, ma ora avverte che si possano risolvere i problemi della regione a prescindere  dalla sua posizione, spesso percepita come un inciampo. Molti i motivi dietro questa percezione. In primo luogo , l’Arabia Saudita oggi manca di leadership carismatica ed energetica capace di dar vita e forma non solo alle politiche interne, ma anche anche a quelle estere. La monarchia saudita è ferma, rifiuta di riconoscere i grandi cambiamenti che hanno travolto il mondo arabo negli ultimi tre anni. La leadership del paese fa ancora affidamento su vecchie strategie per tenere a bada il cambiamento.

Per essa, il cambiamento può avvenire solo dall’alto, con la società civile ferma ad aspettare la generosità e l’iniziativa reale. La maggior parte della leadership saudita ha più di 80 anni, c’è quindi una grave lacuna generazionale difficile da colmare attraverso politiche paternalistiche e promesse di sussidi. La dirigenza del regno è riuscita solo a coprire a malapena l’instabilità in corso nei paesi vicini. E finché essa durerà non ci dovrebbero essere grandi problemi interni: troppa è la paura del caos socio-politico. A questa miopia politica occorre aggiungere la tradizionale creazione del nemico immaginario, l’Iran, la Fratellanza musulmana, le cellule segrete che complottano per destabilizzare il paese e così via. e la diffusa paura fa affidare le sorti dello stato ancora una volta al benigno ruolo della monarchia. 

In politica estera, l’Arabia Saudita non è riuscita a riconoscere le sue limitate capacità nelle questioni regionali dall’occupazione dell’Iraq alla crisi siriana. Dal momento che la sua immagine quale elemento basilare della scacchiere poggia sulla sabbia, ogni manifestazione della sua ininfluenza viene considerato come una minaccia alla sua statura internazionale. Se la generosità saudita è stata venduta come elemento chiave della sua influenza nell’area araba e musulmana, oggi che la società del regno sperimenta una certa costrizione nel soddisfare le proprie esigenze di base, come la proprietà della casa, i sauditi mettono in discussione la logica di dedicare una notevole quantità di ricchezza interna per aiutare gli altri. Perché dovrebbero essere costruiti nuovi complessi residenziali in paesi vicini come doni da parte del governo saudita, quando più del 70% dei sauditi non è proprietario di un’abitazione? Domande legittime soppresse in passato, ma che ora i cittadini comuni spesso fanno affiorare, come si può leggere nei vecchie nuovi media. In secondo luogo, il governo saudita non è riuscito a essere flessibile di fronte alle nuove sfide, in patria e all’estero. Una monarchia conservatrice in invecchiamento non è un buon punto di partenza per politiche improntate sulla flessibilità. Abdullah (nella foto) è salito al potere nel 2005, l’immagine di un monarca riformista si è scontrata con la realtà di una riforma lenta, della corruzione e di una crescente repressione sociale. Abdullah è stato di fatto, messo da parte come arbitro della politica interna saudita, che rimane prerogativa del ministero dell’Interno , guidato dal principe Muhammad bin Nayef. Il figlio del re, Mutaib, può continuare a giocare e mantenere in vita il mito della riforma, ma le contraddizioni del sistema sono già evidenti. Così, ad esempio, se Abdullah permette alle donne di essere nominate al Consiglio consultivo, gli Interni le osteggiano nella loro campagna per poter guidare un’auto e arrestano i sostenitori maschi della stessa campagna. Se Abdullah non ha visto nulla di male nel non dividere i due sessi nelle università di nuova fondazione, il ministero degli Interni, attraverso la polizia religiosa in cerca di immoralità, continua a creare problemi sia agli uomini che alle donne. 

La stessa mancanza di flessibilità è una caratteristica del modo in cui il governo saudita conduce la sua politica estera. Nel mondo di oggi non sembra esserci spazio per eterni nemici o amici. L’Arabia Saudita è abituata a vedere il mondo in maniera manichea, o bianco o nero, ma deve sviluppare le sue capacità di gestione delle infinite zone di grigio che caratterizzano la politica contemporanea.  Davanti alla prospettiva che gli Usa stringano rapporti con altre potenze regionali come l’Iran, l’Arabia Saudita deve decidere se essere parte della soluzione e non parte del problema.