ARABIA SAUDITA. Evapora il sogno di NEOM

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Sul Mar Rosso a Tabuk, sarebbe dovuta sorgere la futuristica città di Neom, ma i lavori per Neom hanno subito una battuta d’arresto indefinita, con il rischio che tutto finisca nel nulla. Neom avrebbe dovuto sostituire Dubai nel Medio Oriente, con l’obiettivo di ospitare un milione di residenti entro il 2030. Le tribù locali sarebbero state trasferite, permettendo al principe ereditario Mohammed bin Salman di costruire un mondo fantastico da 500 miliardi di dollari di auto volanti e ristoranti stellati Michelin accessibile al 40% della popolazione mondiale in meno di quattro ore di aereo.

Ora, la pandemia potrebbe alterare i modelli di viaggio e di stile di vita per gli anni a venire, e una recessione parallela, che ha già visto tagliati gli stipendi a Dubai, per non parlare della guerra sul prezzo del petrolio.

Le devastazioni economiche e sociali portate dal Covid-19, riporta Asia Times, unite alla guerra dei prezzi del petrolio con la Russia, hanno messo in emergenza il regno saudita. Il re Salman ha decretato che il governo sarebbe intervenuto per pagare il 60% degli stipendi del settore privato per i suoi cittadini per i prossimi tre mesi. L’Organizzazione saudita dei cereali ha nel frattempo incaricato gli investitori sauditi all’estero di fornire alla patria 355.000 tonnellate di grano.

Lo slancio per Neom sembra essersi esaurito e ci vorrà molto per ricostruirlo. Neom, considerato come un’oasi di sostenibilità, sembra ora incarnare fantasie di un passato che divorava carburante dei jet, e che ora resta invenduto. Il Saudi Public Investment Fund, il veicolo che il principe ereditario intendeva utilizzare per la diversificazione economica, ha preso una quota dell’8,2% nelle Carnival Cruises; Aramco resta il fondamento della stabilità: il gigante petrolifero statale, probabilmente la compagnia meglio gestita del regno, è stata quotata l’anno scorso al Tadawhul, la borsa saudita, circa 25 miliardi di dollari.

Il ricavato della vendita è stato incanalato nel Fondo di Investimento Pubblico, che a sua volta è destinato a portare a compimento la Neom, ma al momento, non c’è una visione chiara su quali industrie esportabili il regno costruirà per sostituire la sua quasi totale dipendenza dalle industrie petrolifere e petrolchimiche come nel 2008 i sofisticati fondi finanziari non sono un sostituto.

Negli ultimi giorni, i fondi globali sono fuggiti verso rifugi sicuri come i buoni del Tesoro americano, l’oro e lo yen, lasciando dietro di sé i mercati emergenti. Anche se l’Arabia Saudita detiene le più grandi riserve comprovate del mondo e i più bassi costi di estrazione, il regno richiede che il barile abbia un prezzo intorno ai 60 dollari per finanziare il proprio budget; oggi un barile stenta ad arrivare a 20 dollari, a causa della guerra dei prezzi con la Russia. 

Graziella Giangiulio