ITALIA – Roma 6/5/13. Roberto Gervaso diede di lui questa definizione: «Nessun politico sa più di lui ciò che vuole, quando lo vuole e, soprattutto, con chi lo vuole. Più realista di Bismarck, più tempista di Talleyrand, raramente sbaglia e, se sbaglia, sbaglia sempre a ragion veduta», questo era per Gervaso Giulio Andreotti, politico italiano che ha segnato la vita della Repubblica italiana dal 1948 agli anni Duemila.
I coccodrilli e le curiosità sul Divo Giulio abbondano in queste ore, si va dalla narrazione delle sua vicenda processuali alle curiosità postbelliche, ai suoi presunti collegamenti con la mafia.
Non sempre si tratta di articoli celebrativi, impazza ad esempio il video tratto dal film Il Divo di Paolo Sorrentino uscito nel 2008.
forse per i più giovani, nati e cresciuti politicamnrte sotto l’epoca berlusconiana, giulio andreotti potrà sembrare distante, nel migliore dei casi o nel peggiore l’incarnazione dei guasti d’Italia.
Chi ha superato i 40 anni è cresciuto nell’era andreottiana (e craxiana) e nelle dinamiche della politica democristiana più lenti e spesso meno convulsi rispetto a quelli contemporanei. Epoca in cui si parlava di “governi balneari” e di “convergenze parallele” in un Paese dalla democrazia bloccata.
Andreotti, nel bene e nel male ha incarnato il sistema politico italiano che nonostante i rapidi cambiamenti di governo si mantenne sostanzialmente stabile, come ebbe a dire: «La stabilità è l’obiettivo naturale per ogni espressione di potere politico ed è una finalità indispensabile per una nazione che ha conosciuto cinquanta anni fa le conseguenze nefaste di un periodo di estrema debolezza governativa, crisaiola e poco concludente».
Di sé disse: ««Nel 1919 sono nati il Ppi di Sturzo, il fascismo e io. Di tutti e tre sono rimasto solo io», e per la sua tomba fu molto chiaro: «Cosa vorrei sulla mia epigrafe? Data di nascita, data di morte. Punto. Le parole delle epigrafi sono tutte uguali. A leggerle uno si chiede: ma scusate, se sono tutti buoni, dov’è il cimitero dei cattivi?».
Un lato umano del politico Andreotti era la sua passione romanista, tanto da dire che «Il mio cruccio più grande resta quello di avere un figlio laziale»: il “padre della Patria” a quanto pare intervenne per evitare che l’Inter acquistasse Falcão nel 1983. Fraizzoli, allora presidente della squadra meneghina, disse che: «Ho ricevuto una telefonata da molto, molto in alto; Falcão non possiamo più prenderlo. E non chiedetemi perché. Tanto avete capito».
Andreotti fu anche un giornalista che intercettò benissimo, anche in termini popolari, i vizi e le virtù spirito italico: « “La cattiveria dei buoni è pericolosissima”, diceva. Oppure, “Aveva spiccatissimo il senso della famiglia. Era infatti bigamo ed oltre”. O ancora: “Vi è un genere pericoloso di numismatici: i collezionisti di moneta corrente».
Grande conoscitore dell’area mediterranea, uomo dell’equivicinanza perché «uno soffre più dell’altro e uno è più ammalato dell’altro», fece notizia la sua dichiarazione: «Se fossi nato in un campo profughi del Libano, forse sarei diventato anch’io un terrorista».
Adesso che è scomparso uno degli uomini più addentro alle segrete cose della storia repubblicana d’Italia, scompaiono anche molti segreti di questi anni tormentati perché come desse lo stesso Andreotti: «Conosco alcuni segreti di Stato, però li porterò con me in Paradiso. Non mi è mai piaciuta la politica spettacolo».