Recenti scontri tribali in Libia hanno fatto almeno 15 vittime in 48 ore in diverse zone del Paese.
Si tratta della conseguenza del vuoto di potere che si è di fatto creato in Libia dopo la caduta del regime gheddafiano. L’intensità della violenza degli scontri ha costretto il presidente dell’autorità di transizione, Mustafa Abdul Jalil, ad un appello televisivo per chiedere di lasciare le armi e di unirsi prima delle elezioni del mese prossimo che porteranno alla formazione di un assemblea di 200 deputati e alla fornazione di un governo che sovrintenderà la redazione di una nuova costituzione per il Paese. L’apparizione di Jalil è da considerarsi come un nuovo segnale di debolezza politica del Paese: Jalil ha più volte chiesto alle tribù libiche di deporre le armi e ha cercato di unire le formazioni che hanno sconfitto l’esercito di Gheddafi in una nuova forza armata di terra, ma poco è stato ed ha ottenuto. Il Paese è saturo di armi, prese durante gli scontri e la guerra e spesso, troppo spesso ormai, vengono usate per risolvere le faide tribali che segnano il Paese. Negli ultimi scontri, sotto il fuoco incrociato delle fazioni è stato anche il contingente “regolare” inviato per cercare di sedare gli animi.
Oltre a questo, piccoli attacchi contro strutture straniere si sono registrati a Misurata e a Bengasi: la “Brigata della sceicco Omar Abdel.Rahman” ha rivendicato un attacco al consolato Usa a Bengasi e agli uffici della Croce rossa a Misurata.