AMBIENTE. La Cina potrebbe avere le leadership della tutela del clima

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La Cop 29 di Baku, Azerbaigian, si è chiusa con una serie di polemiche. Il compito principale della conferenza era trovare finanziamenti per aiutare i paesi in via di sviluppo a diventare più resilienti agli effetti del cambiamento climatico e a passare a una crescita economica più sostenibile.

La sfida più grande è stata concordare chi avrebbe dovuto pagare e i risultati dicono molto sulle mutevoli dinamiche internazionali e offrono una panoramica sul ruolo della Cina, riporta The Conversation.

Le emissioni di gas serra hanno raggiunto livelli record nel 2024. I governi stanno ancora sovvenzionando i combustibili fossili, incoraggiandone l’uso. E il mondo non riesce a mantenere il riscaldamento al di sotto di 1,5 gradi Celsius rispetto ai tempi preindustriali, un obiettivo stabilito dall’accordo di Parigi del 2015 per evitare i peggiori effetti del cambiamento climatico.

Le condizioni meteorologiche estreme, dalle ondate di calore letali ai cicloni tropicali devastanti e alle inondazioni, sono diventate più intense con l’aumento delle temperature. 

Alla conferenza di Baku, le nazioni membri hanno concordato di triplicare il loro impegno attuale di 100 miliardi di dollari all’anno ad almeno 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 per aiutare i paesi in via di sviluppo, cifra ben al di sotto di quanto gli economisti stimavano necessaria.

In questo quadro Pechino è emersa come paese leader, visto che il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump dovrebbe limitare il sostegno degli Stati Uniti alle politiche sul clima e ai finanziamenti internazionali. La Cina è ora il più grande emettitore di gas serra al mondo e la seconda economia più grande.

La Cina ha anche molto da guadagnare come fornitore della maggior parte del mercato di tecnologie verdi, tra cui pannelli solari, turbine eoliche, batterie e veicoli elettrici.

Se ci si dovesse aspettare o meno che la Cina contribuisse con finanziamenti a un livello paragonabile agli altri principali emettitori è stato un tema così fortemente contestato alla COP29 da far quasi cadere il tavolo delle trattative. 

Alla fine, il compromesso nell’accordo finale, in cui si ”incoraggiano i paesi in via di sviluppo a contribuire su base volontaria”, escludendo la Cina dalle aspettative più pesanti poste sui paesi più ricchi.

In una dichiarazione, 25 nazioni più l’Unione Europea hanno concordato di non sviluppare nuovi impianti a carbone. C’erano anche accordi sulla protezione degli oceani e sulla deforestazione. Altre dichiarazioni hanno segnato gli sforzi per rilanciare la produzione di energia da idrogeno e ampliato i piani ambiziosi per ridurre le emissioni di metano.

A questo punto, vista il quadro internazionale che si sta delineando, nel 2025, con Trump che promette di ritirare nuovamente gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, è possibile che la leadership sul clima cada in mano alla Cina, che potrebbe portare sul tavolo un nuovo stile di soluzioni per la tutela dell’ambiente.

Lucia Giannini

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