Con l’aumento delle proteste per i milioni di tonnellate di rifiuti di plastica che galleggiano nei mari e negli oceani del mondo, sta aumentando il risentimento in Asia per il commercio, spesso illegale, di rifiuti esportati dai paesi sviluppati verso i paesi in via di sviluppo.
La guerra dei rifiuti esplode quando diversi paesi asiatici accettarono le spedizioni di rifiuti dai paesi occidentali per il riciclaggio o lo smaltimento, un’industria che si è espansa geograficamente da quando la Cina ha deciso nel 2017 di non accettare più rifiuti stranieri per il riciclaggio.
Mentre il commercio di rifiuti, difficile da rintracciare, è stato riconfigurato sulla scia del divieto cinese, la Malesia, dopo le Filippine, ha visto innescarsi una spirale di riciclaggio, che ha suscitato preoccupazioni per l’inquinamento e l’avvelenamento dell’acqua e dell’aria, con l’aumento delle importazioni di rifiuti.
Il mese scorso, un rapporto di Greenpeace e della Global Alliance for Incinerator Alternatives ha affermato che «i paesi ricchi si sono abituati ad esportare i loro problemi di plastica, con poca considerazione o sforzo per garantire che la plastica che esportavano venisse riciclata e non danneggiasse altri paesi», riporta Asia Times.
I paesi occidentali potrebbero non essere del tutto colpevoli, tuttavia, dato che le economie asiatiche in crescita stanno generando quantità significative e crescenti di rifiuti. Uno studio del 2015 pubblicato sulla rivista Science stima che otto milioni di tonnellate di rifiuti di plastica entrano nell’oceano ogni anno, un terzo dei quali proveniente dalla Cina.
I paesi hanno deciso all’inizio di questo mese di aggiungere la plastica alla Convenzione di Basilea, un trattato che mira a regolamentare il commercio di rifiuti pericolosi, ma con le stime di cento milioni di tonnellate di plastica che galleggiano o affondano negli oceani e nei mari del mondo, il problema non sarà facilmente risolvibile, indipendentemente da dove sia la colpa.
Graziella Giangiulio