AMBIENTE. Allegramente andiamo verso l’estinzione

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L’ultimo rapporto della Piattaforma intergovernativa scienza-politica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, Ipbes, associato a varie agenzie delle Nazioni Unite, Unep, Undp, Unesco, Fao, è un forte richiamo su dove dovrebbero concentrarsi le priorità globali. 

Ciò che l’Ipbes sta documentando, riporta Asia Times, sulla base del lavoro di 145 scienziati ed esperti di 50 nazioni negli ultimi tre anni, con il contributo di altri 310 specialisti, è una nuova estinzione di massa in cui carnefici e vittime sono gli stessi attori. 

Ecco alcuni indicatori allarmanti:

* Il 75% dell’ambiente terrestre è stato “gravemente alterato” fino ad oggi dalle azioni umane, l’ambiente marino per il 66%.

* Oltre l’85% delle zone umide presenti nel 1700 erano andate perdute nel 2000; la perdita di zone umide è attualmente tre volte più veloce, in termini percentuali, della perdita di foreste.

* L’attuale tasso di estinzione globale delle specie è da decine a centinaia di volte superiore alla media degli ultimi 10 milioni di anni. E il tasso sta accelerando.

* Fino a 1 milione di specie sono minacciate di estinzione, molte delle quali nel giro di decenni.

* Oltre 500.000 specie su 5,9 milioni di specie terrestri stimate nel mondo hanno un habitat insufficiente per la sopravvivenza a lungo termine senza ripristino dell’habitat.

* Quasi il 33% dei coralli che formano i reef, squali e parenti degli squali e oltre il 33% dei mammiferi marini sono a rischio di estinzione.

* Circa 821 milioni di persone devono affrontare l’insicurezza alimentare in Asia e in Africa.

* Circa il 40% della popolazione mondiale non ha accesso ad acqua potabile pulita e sicura.

* Oltre l’80% delle acque reflue mondiali viene scaricato nell’ambiente senza essere trattato.

* tra 300 e 400 milioni di tonnellate di metalli pesanti, solventi, fanghi tossici e altri rifiuti provenienti da impianti industriali vengono scaricati ogni anno nelle acque di tutto il mondo.

* L’inquinamento da plastica dal 1980 è aumentato di 10 volte. 

* 5,6 gigatoni di emissioni di Co2 vengono immessi annualmente negli ecosistemi marini e terrestri; ciò equivale al 60% delle emissioni globali di combustibili fossili.

* Circa l’11% della popolazione mondiale è sottonutrita.

* Dal 1980 al 2000 ci sono stati 100 milioni di ettari di espansione agricola ai tropici, soprattutto bovini allevati in America Latina (+42 milioni di ettari), e piantagioni nel sud-est asiatico (-7,5 milioni di ettari, di cui l’80% di palma da olio), la metà a spese di foreste intatte.

* La biomassa degli animali selvatici è diminuita dell’82%.

* Il 33% degli stock ittici marini nel 2015 è stato pescato a livelli insostenibili; il 60% è stato pescato alla massima sostenibilità; solo il 7% è sottoutilizzato.

* La prevista diminuzione della biomassa ittica entro la fine del secolo in scenari di basso e alto riscaldamento climatico, rispettivamente, varia dal 3% al 25%.

* Oggi rimane solo il 68% della superficie forestale globale rispetto al livello preindustriale stimato.

* Il 5% delle specie è a rischio di estinzione per il solo riscaldamento a 2°C, che sale a un enorme 16% a 4,3°C di riscaldamento.

* Anche per un riscaldamento globale da 1,5 a 2 gradi, si prevede che la maggior parte delle specie terrestri si ridurrà profondamente.

* 345 miliardi di dollari sono stanziati a livello globale come sussidi per i combustibili fossili, con costi complessivi pari a 5 trilioni di dollari, compreso il deterioramento della natura, mentre il carbone rappresenta il 52% dei sussidi al netto delle imposte, il petrolio il 33% e il gas naturale circa il 10%.

* Crescente disuguaglianza; il Pil pro capite nei paesi sviluppati è 50 volte superiore a quello dei paesi meno sviluppati. 

La deforestazione nella foresta pluviale amazzonica, la pesca eccessiva in Asia, i coralli imbiancati dal cambiamento climatico nella Grande Barriera Corallina, la proliferazione di pesticidi, l’apocalisse della plastica sono grandemente ignorate.

Le grandi potenze politiche sembrano essere impegnate a preparare la Conferenza Onu sulla Biodiversità 2020 in Cina, che dovrebbe fissare nuovi obiettivi che in pratica non saranno seguiti da nessuno, proprio come i precedenti obiettivi fissati in Giappone nel 2010. 

Il rapporto dell’Ipbes cerca di focalizzare l’attenzione su un concetto: non è troppo tardi per fare la differenza, caratterizzando il possibile cambiamento come «una riorganizzazione fondamentale e sistemica tra fattori tecnologici, economici e sociali, inclusi paradigmi, obiettivi e valori». L’Ipbes ammette comunque che esiste «l’opposizione da parte di coloro che hanno interessi acquisiti nello status quo» scommettendo ingenuamente però che il bene pubblico possa prevalere.

Lucia Giannini