ALGERIA. Algeri sull’orlo della guerra civile: Nessuno scrive al Generale 

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Parafrasando il titolo del famoso romanzo breve di Gabriel García Márquez Nessuno scrive al colonnello, appare chiaro che le azioni del Generale algerino Gaid Salah rischiano di trascinare l’Algeria sull’orlo del precipizio e, bypassando tutte le prerogative costituzionali, detta i suoi ordini allo stesso capo dello Stato imponendo la sua agenda elettorale.

In effetti, nel suo discorso di lunedì 2 settembre, l’incontrastato vero uomo forte del regime, il Generale Ahmed Gaid Salah, ha decretato la convocazione del corpo elettorale algerino a partire dal 15 settembre. In altre parole, le elezioni presidenziali dovrebbero svolgersi entro e non oltre il 15 dicembre 2019, dal momento che la legge elettorale prevede lo svolgimento delle elezioni entro 90 giorni dalla data di convocazione degli elettori. 

Già per ben due volte gli algerini hanno risposto con un sonoro “NO” all’organizzazione delle elezioni presidenziali. Nonostante questo, nulla sembra impedire al Generale Ahmed Gaïd Salah di provare ad imporre una terza convocazione del corpo elettorale, anche a costo di essere nuovamente respinta. Se la situazione dovesse drammaticamente precipitare, le ragioni sono ben chiare.

Ciò significa per il generale dell’esercito di impegnarsi in una corsa contro il tempo per “tagliare l’erba sotto i piedi dei manifestanti”. Non vi sono segni che le manifestazioni di protesta degli algerini nelle città possano diminuire, al contrario. In effetti, dopo 28 settimane, le manifestazioni si sono intensificate in particolare con l’inizio dell’anno accademico con gli studenti universitari, il mondo sociale e politico favoriti da un clima più mite rispetto al torrido caldo di questa estate, come conferma la stessa stampa algerina.

Attivo il mondo dei social network e social media, dove le chiamate si moltiplicano incoraggiando i cittadini algerini ad uscire in massa nelle strade nelle prossime settimane. È in particolare su Facebook, Twitter ed Instagram dove dilagano le proteste e gli inviti alla manifestazione, come già accaduto nei mesi di febbraio e marzo. Non avrebbe dovuto sfuggire ai servizi segreti, attualmente sotto l’autorità diretta del Generale Gaid Salah, da quando le proteste nelle strade hanno costretto alla “fuga” l’ex presidente Bouteflika. 

Appare come l’ennesimo vero e proprio “buco nell’acqua” il tentativo di dialogo che il Generale cerca di imporre agli algerini, dopo che la maggior parte dei partiti di opposizione ha rifiutato l’invito di Karim Younès a partecipare allo sviluppo di una tabella di marcia per porre fine alla crisi.

In effetti tutte le formazioni raccolte attorno al patto per l’alternanza democratica che riunisce in particolare il Fronte delle forze socialiste (FFS), primo partito di opposizione algerino fondato nel 1963, il Partito dei Lavoratori il cui leader è in prigione e altri cinque partiti politici, cosi come la Lega algerina per la difesa dei diritti umani (LADDH), una delle più grandi ONG, hanno detto un chiaro “no” al Generale Gaid Salah e al suo progetto di imporre le “presidenziali al più presto possibile”.

In questo quadro generale e di tensione, Gaïd Salah ha evidentemente compreso che la situazione gli sta sfuggendo di mano, nonostante l’eliminazione di politici, militari e oligarchi, nonostante la repressione contro la stampa e gli opinion leader e nonostante le dozzine di discorsi pronunciati nel corso degli ultimi sei mesi per cercare di convincere gli algerini della necessità di seguire la strada da lui disegnata per uscire dalla crisi. 

Quest’ultimo tentativo di imporre la sua volontà è indubbiamente l’ultima carta che gli resta da giocare prima che gli algerini decidano di sfrattarlo, perché è ormai evidente che rifiuteranno il suo tentativo di organizzare entro la fine di settembre dopo aver dopo avere bocciato e rigettato lo stesso per ben due volte (19 aprile e quella del 4 luglio). 

Ma quali sono le reali intenzioni ed interessi del Generale, che attraverso le sue azioni contrasta la Costituzione e la volontà del suo popolo che vuole liberarsi dal giogo dell’establishment oligarchico?

È quanto tutti iniziano a chiedersi, avendo di fatto trascinato l’esercito in problemi politici e distrutto la vocazione popolare del suo esercito contro i milioni di algerini che lottano dal 22 febbraio per l’istituzione di uno stato civile, democratico e popolare. 

È un chiaro campanello di allarme. Il Generale, attaccato al potere, dimostra un atteggiamento suicida ed irresponsabile che rischia di trascinare il paese in un ciclo di violenza, e che rappresenterebbe un disastro non soltanto per l’Algeria ma anche per l’intera regione. È ancora più grave e preoccupante l’atteggiamento passivo dei paesi del vicinato, come l’Italia, e delle organizzazioni dei diritti umani nel mondo. Perché non si attivano per denunciare questa pericolosa deriva autoritaria militare contro i 40 milioni di civili algerini.

Redazione