Kabul è caduta. Le scene di Chinhook in hovering sull’ambasciata Usa e di persone attaccate ai carrelli dei jet sono tutte note oramai. Si tratta di manifestazioni della disperazione allo stato puro che può essere letta nei volti e negli atteggiamenti di queste persone. La certezza della sofferenza e del salto indietro di vent’anni, tragico e terribile, sia politico che sociale, muove simili atteggiamenti che evidentemente sono sottovalutati, nella migliore delle ipotesi, da una congerie di analisti che forse di Afghanistan hanno sentito parlare di terza o quarta mano. Altrimenti non ci sarebbero gli americani schierati sul tarmac dell’aeroporto di Kabul con le armi puntate contro i disperati in fuga dal neonato paradiso talebano per evitare che venga nuovamente bloccato il decollo dai disperati, in altro modo non potrebbero essere chiamati, che vogliono abbandonare le delizie del risorto Emirato Islamico.
Stupisce, alla data del 16 agosto, leggere analisi che possono essere definite frettolose se frutto di una richiesta editoriale dell’ultimo minuto o capziose se invece fatte con altri fini, di politica italiana interna in primis, come accade per l’editoriale pubblicato da Domani a firma di Mario Giro, e intitolato: Nazionalisti, restauratori ma non jihadisti: ecco come pensano i nuovi talebani.
All’interno del pezzo, si trovano anche delle considerazioni condivisibili, che però vengono annegate letteralmente da una lettura distorta di quanto sta accadendo e di quanto si è andato preparando a Doha (Qatar), a Mosca (Russia), a Tianjin (Cina) in tempi recenti e che hanno portato alla nuova postura politica, operativa e mediatica degli Studenti Coranici che hanno preso il potere il giorno di Ferragosto, cogliendo effettivamente di sorpresa ogni osservatore geopolitico o analista dei servizi segreti, CIA in testa, secondo cui Kabul sarebbe caduta al massimo entri 12 mesi, tempo in cui trovare un accordo con l’Emirato Islamico.
Nel servizio in questione, il professor Giro sembra voler ricordare che i talebani, plurale per talib che significa studente del Corano, appartengono alla categoria così cara alla storia italiana dei “compagni che sbagliano” o che hanno sbagliato e promettono di non farlo più, perché pentiti.
C’è quasi un tono mazziniano, risorgimentale nel descrivere l’animo dei pashtun, etnia principale afgana, e motore etnico degli Studenti Coranici che si oppongono ad un invasore, l’Occidente e i suoi valori e, quindi, noi che lo leggiamo, che avrebbe fatto strame dei valori del pashtunwali, il codice d’onore etnico, che tanto assomiglia alle descrizioni dei codici d’onore che vengono fatte nelle aule di giustizia italiane da Palermo a Lamezia Terme e via discorrendo. Questi patrioti nazional-religiosi, così li definisce Giro, hanno parlato con russi e cinesi, e quindi anche l’Occidente deve dialogare, ma perché? Perché l’occidente, noi ripetiamo, conosciamo meglio il territorio e le popolazioni; affermazione che lascia il tempo che trova perché i russi da tempi storici scorrazzano nell’area, invano il più delle volte; mentre i cinesi hanno gruppi etnici condivisi con la Tomba degli Imperi, cioè l’Afghanistan che ha affossato da sempre qualunque impero abbia voluto conquistarlo: da quello macedone di Alessandro Magno a quello sovietico che ne scappò con la coda tra le gambe nel 1989, al ritiro convulso della presenza statunitense nel 2021.
Si tratta di una lettura storico etnica della “Tomba degli Imperi” secondo la quale la nefasta generazione di vent’anni fa guidata dal Mullah Omar che indossava come Amir al Mumimin (Emiro dei Credenti) il mantello del Profeta, non c’è più, e che questa generazione oggi al potere è diversa, non può essere definita jihadista ma solo rivoluzionaria e si sa i rivoluzionari hanno fascino. Un fascino che si irradia grazie al loro rifarsi alla Tradizione della religione dei Padri, musulmana, cristiana o atea che sia, e che ovviamente non può essere ignorato ma che anzi deve essere usato per far passare messaggi altri, che poi vengono fuori nella chiusa dell’editoriale.
Stupisce poi la assoluta capziosità nel descrivere il governo filo occidentale che in vent’anni ha avuto come presidenti dei politici di etnia pashtun, quella descritta da Giro come grande assente, e quindi parte lesa, nella gestione del potere. Hamid Karzai è di etnia pashtun, Ashraf Ghani idem i loro governi hanno avuto ministri e vice appartenenti alle diverse componenti etniche del paese, governi fatti quasi col bilancino per evitare che si percepisse un mancato apporto politico di una etnia rispetto ad un’altra. E quindi parlare degli Studenti Coranici che da pashtun afgani si riprendono il potere è un controsenso storico, politico a voler essere generosi.
Nel frattempo cominciano a venire fuori le prime storie di rastrellamenti casa per casa, di arresti e purtroppo i primi filmati di esecuzioni sommarie; nel frattempo la corrispondente della CNN che fino al 14 agosto girava indisturbata vestita all’occidentale, fa ora il collegamento con un niqab nero, tanto da sembrare inviata in Iran, e non a Kabul; nel frattempo le città già prese nei giorni scorsi registrano requisizioni, i soldati e i collaboratori che per vent’anni hanno sperato di avere un paese che potesse essere affascinante e prospero andando oltre le regole tribali ed etniche, fuggono verso il Tajikistan, verso l’Uzbekistan; nel frattempo, gli elicotteri e gli aerei dell’aviazione afgana atterrano negli aeroporti uzbeki (uno viene abbattuto) per non cadere in mano aglio uomini dell’Emirato Islamico.
L’assoluta assenza di simili notizie, basilari per comprendere lo stato confusionale di queste giornate non sono neanche lontanamente presenti nell’editoriale di Giro, così come in molti altri, tutto teso a presentare la nuova realtà come accettabile, nel dire che il diavolo non è poi così malvagio come dicono: ma allora professore perché la gente scappa? Perché quelle scene? Come le spiega? Sensibilità eccessiva? Emotività repressa? Vorremmo sentire la sua voce in proposito. Perché non chiedere ai talebani un ingresso per intervistare di persona le persone che vivono dal 16 agosto sotto l’Emirato islamico?
La semplicità di questa descrizione oltremodo semplicistica lascia di stucco chiunque abbia studiato e seguito da parecchi lustri gli eventi afgani, perché non ha alcuna validità.
Se poi si ha la curiosità, lo stomaco direbbero altri, di andare fino in fondo si comincia a intravedere lo scopo di un simile pistolotto pseudo geopolitico: la questione dei migranti che l’Occidente il cui crocevia è il Belpaese, dovrebbe farsi carico. Nella chiusa si fa cenno alle “durezze inevitabili” della prima fase del governo talebano, come nel primo governo che però lascava operare, guarda caso le Ong.
Con i talebani, novelli Cincinnato, l’Occidente deve dialogare e farsi carico di chi, senza motivo, ed è qui la contraddizione principale della chiusa dell’editoriale e del ragionamento che sottende, occorre dialogare perché portatori di una causa nazionale e di una tradizione religiosa; magari utilizzando dei cuscinetti come il Pakistan, che ha creato i mujahedin e i loro discendenti talebani (la stampa asiatica è piena di report su simili liason) e la Turchia, paese dove sono presenti in addestramento le truppe speciali afgane e che secondo la stampa turca potrebbero replicare il modello usato per Siria e Libia. Insomma una serie di semplificazioni e contraddizioni che confondono il lettore non fornendo un quadro il più possibile obiettivo e corretto ma piuttosto una lettura a fini politici interni, cioè italiani, come detto in precedenza. Senza però dichiararlo ma nascondendolo tra le righe di un articolo che ha grosse lacune storiche e di attualità.
Antonio Albanese e Graziella Giangiulio