AFGHANISTAN. Le sfide per la miniera sino-talebana di Mes Aynak

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Nella corsa globale per le materie prime, la ricchezza mineraria dell’Afghanistan dovrebbe posizionare l’Emirato Islamico nell’Empireo, almeno sulla carta. Il paese potrebbe detenere fino a 1 trilione di dollari di minerali preziosi, secondo le stime degli Stati Uniti del 2010, ed è sede di quello che potrebbe essere il secondo più grande giacimento di rame al mondo.

Al centro delle ambizioni del governo dei talebani, c’è la trasformazione di Mes Aynak, enorme deposito di rame a sud-est di Kabul e sito archeologico; si stima che contenga circa 4,4 miliardi di tonnellate di minerale di rame. La Cina è fondamentale per realizzare le aspirazioni talebane.

L’interesse dei talebani per il rame non è una novità; i governanti dell’Afghanistan hanno cercato a lungo di sfruttare le ricchezze minerarie del paese. Lo sforzo per trasformare Mes Aynak risale almeno al 2008, quando la China Metallurgical Group Corp., di proprietà statale cinese, si è assicurata una concessione mineraria di 3 miliardi di dollari e 30 anni per il progetto. Dopo 16 anni di ritardi, i talebani e Pechino sembrano essere tornati sul progetto quest’estate con una cerimonia di inaugurazione a luglio per la costruzione di una strada per la miniera, che secondo i funzionari cinesi ha segnato un “passo significativo” in avanti.

Eppure, nonostante questo apparente slancio, gli analisti avvertono che una serie di sfide di sicurezza, normative, legali, finanziarie e infrastrutturali ostacolano il successo del progetto, insieme alle preoccupazioni su come l’attività mineraria potrebbe danneggiare le rovine storiche.

Il coinvolgimento della Cina nel progetto riflette il desiderio più ampio di Pechino di garantire la sicurezza regionale e ridurre al minimo l’instabilità che potrebbe estendersi oltre il confine condiviso con l’Afghanistan.

Dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan nel 2021, hanno affermato gli esperti, l’impegno della Cina con i talebani è stato in gran parte guidato dall’interesse pratico di Pechino nel mantenere legami produttivi con il suo vicino e nel promuovere i propri obiettivi politici e di sicurezza. La Cina è stata la prima nazione a nominare un ambasciatore nell’Emirato dei talebani, mentre le aziende cinesi hanno firmato accordi di estrazione petrolifera con i talebani e hanno messo gli occhi sulle riserve di litio del paese, un altro minerale strategico. Pechino ha fornito all’Afghanistan più di 350 milioni di yuan di assistenza umanitaria dall’acquisizione da parte dei talebani nell’agosto 2021, secondo il Ministero degli Affari Esteri cinese.

“I cinesi hanno sempre questa mentalità secondo cui lo sviluppo porta a stabilità e pace”, ha detto Olander. “Immagino che parte del pensiero politico sia che l’impegno economico delle entità cinesi aprirà la strada a una maggiore stabilità e contribuirà allo sviluppo di un paese, che a sua volta contribuisce alla pace”.

Oltre alla politica, Pechino ha anche importanti interessi commerciali nel successo di Mes Aynak in particolare: “I cinesi hanno investito, hanno speso i loro soldi, ma non sta arrivando niente di concreto, quindi ovviamente vogliono riprenderlo”, riporta FP.

I talebani, alla ricerca di nuove fonti di entrate e di investimenti esteri, sono molto interessati a che tutto ciò eventi realtà. Affamati di più denaro e legittimità internazionale, i talebani hanno cercato attivamente legami economici più profondi con Pechino. Proprio l’anno scorso, l’Emirato ha annunciato i piani per unirsi ufficialmente al programma di politica estera del presidente cinese Xi Jinping, la Belt and Road Initiative, così come al China-Pakistan Economic Corridor.

Il progetto minerario di Mes Aynak si potrebbe scontrare comunque con la minaccia di attacchi dello Stato islamico e altre preoccupazioni per la sicurezza, insieme a enormi rischi finanziari e incertezza legale e normativa, tutti fattori che potrebbero rivelarsi molto difficili da superare. Anche i prezzi del rame sono saliti vertiginosamente negli ultimi mesi, offrendo un altro indicatore di quanto sarà difficile far decollare il progetto.

A tutto ciò va aggiunto che non c’è nessuna infrastruttura in Afghanistan: energia, acqua, treni: estrarre il minerale, portarlo fuori e trasportarlo in porto, ogni passaggio lungo quella catena è rischioso e costoso esistendo in altri paesi vicini alternative che molto meno rischiose, e più sviluppate. 

Luigi Medici 

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