Dopo l’Accordo di Doha tra Emirato Islamico dell’Afghanistan e gli Stati Uniti d’America del 29 febbraio scorso, i principali attori istituzionali e non dell’Asia meridionale hanno pensato che il solido e storico rapporto tra Talebani afgani e il network al-Qaida potesse venir meno in un attimo. Dalla firma dell’Accordo in poi, gli stessi protagonisti si sono resi conto però che tra la ‘teoria’ e la ‘pratica’ esiste un complesso sistema; fatto di alleanze politiche, religiose ed etnico-tribali che difficilmente vengono meno con una firma posta su un foglio in Qatar.
Infatti, venerdì scorso, 16 ottobre 2020, il coordinatore del gruppo di monitoraggio delle Nazioni Unite sul Jihad, Edmund Fitton-Brown, ha affermato, in linea con quanto già detto nei mesi precedenti da altri, che l’organizzazione al-Qaeda continua a intrattenere rapporti con l’Emirato Islamico dell’Afghanistan. Secondo Fitton-Brown, lo stesso Ayman al-Zawahiri, leader di al-Qaeda, intrattiene ancora stretti legami con i Talebani, attualmente impegnati sia dal punto di vista militare che diplomatico per chiudere una guerra durata vent’anni. Secondo quanto dichiaro sempre dal funzionario ONU e riportato da Tolo News, le figure di alto livello [di al-Qaeda] rimangono quindi in Afghanistan, così come centinaia di soggetti armati pronti a colpire. Il tutto avviene anche se i Talebani hanno assicurato agli Stati Uniti d’America di tagliare i legami con il gruppo jihadista fondato da Osama Bin Laden. Sempre Fittown Brown, ha dichiarato che l’Emirato si è consultato regolarmente con al-Qaeda durante i negoziati con gli Stati Uniti d’America, anche se i Talebani hanno respinto in modo ufficiale tutte le accuse rivolte sia dall’Onu che da altre parti.
Sebbene i Talebani neghino tuttora e senza mezzi termini di continuare ad avere legami con i qaedisti, la notizia del mantenimento dei rapporti non dovrebbe sorprende e far cadere dalle nuvole. Infatti, prima di cantar vittoria e pensare di aver spezzato il legame tra Emirato e al-Qaeda con una firma, ci si deve chiedere come questi due soggetti si relazionano realmente l’un l’altro e poi arrivare a delle conclusioni. Il legame tra le due organizzazioni, che una parte dell’Accordo di Doha mira a far venir meno, si basa infatti su una fedeltà, anche se condizionata, della stessa leadership globale di al-Qaeda a quella dell’Emirato. Questa non è una semplice collaborazione strategica e logistica, ma è qualcosa di più profondo. Lo stesso leader dei Talebani, Mawlawi Hibatullah Akhundzada, è riconosciuto, così come i suoi predecessori, con la carica di Amīr al-Muʾminīn (Comandante dei Fedeli), titolo introdotto in epoca rashinud da ʿUmar ibn al-Khaṭṭāb; più o meno come sinonimo o sostitutivo di ‘Califfo’.
Durante la lunga storia di al-Qaeda, lo Sceicco Osama Bin Laden prima e lo Sceicco Ayman al-Zawahiri dopo, hanno ribadito più volte, anche se tra alti e bassi, la propria fedeltà (Bay’a) al Mullah Mohammed ʿOmar, al Mullah Akhtar Mansour e all’attuale leader dei Talebani, Mawlawi Hibatullah Akhundzada. Negli anni, la fiducia riposta nei confronti dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan non è arrivata solo dalla leadership centrale qaedista, ma anche dalle varie organizzazioni attive fuori dall’Afghanistan. Dal Sahel, è da ricordare la Bay’a di Iyad ag Ghali, emiro di Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin’ (JNIM), sia verso Abdelmalek Droukdel (ex al-Qaeda nel Maghreb Islamico) che nei confronti di Ayman al-Zawahiri e Hibatullah Akhundzada. La stessa tipologia di ‘fedeltà a livelli’ si ritrova anche per quanto riguarda Ḥarakat al-Shabāb al-Mujāhidīn (HSM), organizzazione operativa in Somalia e Kenya. Per riportare un altro esempio significativo di questo legame, si pensi anche ad al-Qaeda nel Subcontinente Indiano (AQIS) e alla formazione kashmira, Ansar Ghazwat-ul-Hind (AGuH). Per quanto riguarda infatti quest’ultime, il legame risulta esser ancora più evidente e stringente. È da ricordare infatti che AQIS nel 2017 ha pubblicato un codice di condotta nel quale si invitano, così come fatto anche da al-Zawahiri, a giurare fedeltà all’Emirato Islamico dell’Afghanistan perché si pensa la vittoria dell’Islam possa arrivare solo attraverso i Talebani. Sin dalla sua formazione, anche l’organizzazione AGuH del defunto Zakir Musa ha individuato specificatamente l’Emirato Islamico dell’Afghanistan come un modello da seguire nella sua lotta per la liberazione del Jammu e Kashmir.
Dal punto di vista dell’Emirato Islamico, l’organizzazione al-Qaeda ha rappresentato però sia un vantaggio, ma anche un enorme problema. Ed è proprio su questo che forse ci si dovrebbe concentrare per far tagliare realmente i legami. Infatti, sebbene il network di Ayman al-Zawahiri supporti politicamente e sul campo l’operato dei Talebani, la storica organizzazione di Bin Laden ha portato mediante le proprie azione globali alla stessa disfatta dell’Emirato, all’esilio della propria leadership e all’impossibilità per anni di riacquisire il potere. Ciò detto, l’Accordo di Doha, a otto mesi dalla sua firma, non sembra aver scalfito pubblicamente la fiducia che tutto il network di al-Qaeda ripone nell’Emirato e viceversa. In un successivo messaggio, l’organizzazione di Ayman al-Zawahiri ha ribadito infatti la propria fiducia ai Talebani e applaudito all’operato dell’Emirato, uscito vincitore da quasi vent’anni di guerra. Il tutto è stato dichiarato alla luce della decisione da parte dell’Emirato di sottoscrivere un accordo che, almeno sulla carta, mina le relazioni tra Talebani e qaedisti. Sembra però ci sia, da un lato e dall’altro, il timore a voler rompere. I Talebani perderebbero uno dei pochi alleati che si ritrovano e, volendo cambiare strategia, la propria proiezione globale. L’organizzazione al-Qaeda perderebbe invece il punto di riferimento politico-militare oltre che la principale fonte di supporto logistico.
Dato quanto appena riportato, le dichiarazioni di Edmund Fitton-Brown sono quindi plausibili. Purtroppo, questo significa che l’accordo di Doha e successivi colloqui intra-afgani rischiano di crollare da un momento all’altro, prolungando così la sofferenza dei civili afgani spesso vittime tra i due fuochi. È del 18 ottobre, ad esempio, il comunicato Qari Muhammad Yousuf Ahmadi, uno dei due portavoce dei Talebani, che accusa le forze americane di aver violato nei giorni precedenti proprio l’Accordo di Doha, effettuando attacchi aerei nella provincia di Helmand. Secondo quanto stabilito in Qatar, gli statunitensi hanno il divieto di effettuare attacchi aerei o di colpire chiunque si trovi in aree diverse dalle zone di combattimento o durante i combattimenti attivi. Tuttavia, negli ultimi giorni, afferma l’Emirato, droni e altri aerei da combattimento hanno effettuato attacchi di giorno e di notte nelle zone di Nahr Siraj, Khushkawa, Babaji, Malgir e Band-e-Barq di Greshk e in varie zone dei distretti di Sangin, Marjah, Nawa e Nad Ali. Secondo i Talebani, sarebbero stati effettuati attacchi aerei anche a Farah e in altre province in chiara violazione dell’accordo di Doha.
Redazione