AFGHANISTAN. David Petraeus chiede se gli USA sanno ancora controllare il jihadismo

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La nuova realtà dell’Afghanistan in mano ai talebani solleva una domanda: quanto Washington riesce a tenere d’occhio l’estremismo islamico? A questa domanda ha cercato di rispondere David Petraeus, ex comandante supremo in Medio Oriente ed ex direttore della CIA, in una lunga intervista riportata da UsniNews.

«Raramente si può sbagliare preparandosi al peggio (…) Ci vorrà una flotta di aerei cisterna per portare lì aerei e rimanerci per monitorare qualsiasi movimento di al Qaeda o dello Stato Islamico; anche usare gli MQ-9 Reaper sarebbe poco pratico, ci vorrebbero mate ore di volo per raggiungere l’Afghanistan.

«I combattenti talebani manterranno la loro parola che questa volta non forniranno un rifugio per al Qaeda come hanno fatto quando hanno preso il potere a metà degli anni ’90», si è chiesto Petraeus; lo stesso vale per il Pakistan, che ha fornito rifugio ai talebani e ai suoi alleati come la rete Haqqani.

Petraeus ha difeso le prestazioni delle forze di sicurezza afgane dal 2014, quando la missione di combattimento americana e della Coalizione si è ridotta: «Gli afgani hanno combattuto e sono morti per il loro paese (…) le loro prestazioni non erano “affatto perfette”, ma combattevano se qualcuno gli copriva le spalle».

La decisione delle amministrazioni Biden e Trump di rimuovere tutte le forze americane senza molte consultazioni con gli alleati o il governo afgano ha messo in moto gli eventi che si stanno svolgendo ora a Kabul, ha detto l’ex direttore Cia che ha legato quelle decisioni e la tempistica relativa al rifiuto delle forze di sicurezza di continuare a combattere.

«Avevamo tutto pronto per continuare gli sforzi antiterrorismo in Afghanistan e insieme agli alleati della Nato consigliare e assistere le missioni con le forze di sicurezza. Mantenere da 2.500 a 3.500 soldati statunitensi sarebbe stato il modo per raggiungere questo obiettivo» ha detto Petraeus, che ha comandato la Forza Internazionale di Assistenza alla Sicurezza in Afghanistan per un anno a partire dal 2010; per Petraeus se quel numero di forze Usa fosse rimasto, sarebbero rimasti anche 8.500 soldati alleati in missioni di formazione.

Inoltre, 18.000 appaltatori, molti dei quali in ruoli di supporto aereo, sarebbero rimasti, ha sostenuto; si trattava di figure, ricorda Petraeus, importanti per la catena di approvvigionamento necessaria alle forze di sicurezza afgane e alle loro missioni di supporto aereo ravvicinato.

Petraeus ha detto che il «governo afgano ci ha aiutato nello svolgimento delle missioni regionali di controterrorismo e nel monitoraggio degli estremisti islamici. Ciò che gli Stati Uniti hanno perso oggi sono le strutture e le basi di intelligence di prima linea: «Ora non le abbiamo più», ha detto.

Molto importante, secondo Petraeus, è la crisi finanziaria causata dalla chiusura dei mercati del credito e il sequestro da parte dei talebani di beni appartenenti al precedente governo afgano, fatto che avrà un impatto drammatico sulla nazione; ha detto che in un anno, i talebani hanno incassato circa 1 miliardo di dollari in vendite di oppio, ma il bilancio nazionale afgano era di circa 18 miliardi di dollari all’anno, la maggior parte provenienti dall’assistenza straniera per i servizi di base e di sicurezza, compresa l’importazione di carburante: «Le luci si spegnerebbero a Kabul a meno che i Talebani non trovino un modo di governare che sia accettabile per le altre nazioni e che permetta la riapertura dei mercati del credito. Gli afgani saranno in una situazione molto difficile», ha detto.

Petraeus non ha escluso di rioccupare l’ambasciata americana a Kabul per mantenere la presenza degli Stati Uniti in Afghanistan e in futuro negoziare con i talebani la riapertura di basi come Bagram o Kandahar per missioni antiterrorismo.

Luigi Medici