
Il governo talebano afghano ha rescisso un contratto biennale di estrazione e sviluppo petrolifero con una società cinese a causa di presunte violazioni degli obblighi contrattuali. Alcuni esperti ritengono che la decisione sia un segnale delle difficoltà economiche che il regime di Kabul sta affrontando.
“L’accordo di esplorazione e produzione del giacimento petrolifero di Amu Darya, firmato tra il Ministero delle Miniere e del Petrolio e la Afchin Company per un periodo di 25 anni, è stato rescisso a causa delle ripetute violazioni degli obblighi contrattuali da parte dell’appaltatore”, ha dichiarato Hamayun Afghan, portavoce del ministero, in un post su X la scorsa settimana.
Il Portavoce ha dichiarato che la cancellazione è avvenuta a seguito di un’indagine formale condotta da una commissione congiunta, che ha accertato che Afchin aveva commesso molteplici violazioni dell’accordo, riporta Afintl. “Il contratto è stato annullato a causa di ripetute violazioni dei propri impegni da parte della società contraente”, ha scritto Afghan su X.
Di conseguenza, il Ministero delle Miniere e del Petrolio afghano, sotto la guida dell’attuale ministro Hidayatullah Badri, ha proposto la risoluzione del contratto; decisione approvata dall’ufficio del primo Ministro talebano su raccomandazione del Vice primo Ministro per gli Affari Economici.
“Un accordo non è solo inchiostro sulla carta. Se un’azienda non riesce a rispettare i propri impegni, non può continuare a lavorare sul nostro territorio”, ha dichiarato il Ministero. “Stiamo valutando la possibilità di riaprire il progetto per la gara d’appalto o di dare priorità agli investitori afghani”.
Il contratto era stato inizialmente firmato alla presenza di Abdul Ghani Baradar, Vice Primo Ministro per gli Affari Economici dei Talebani, e dell’ambasciatore cinese in Afghanistan. Si trattava di una joint venture tra la Central Asia Petroleum and Energy Company, CPEIC, società cinese statale, e la compagnia petrolifera e del gas statale afghana, con la parte cinese che deteneva una quota del 75%.
L’accordo riguardava l’estrazione di petrolio da un’area di 4.500 chilometri quadrati che si estendeva tra le province settentrionali di Sar-e Pol, Jowzjan e Faryab. Si prevedeva di aumentare la produzione da 200 tonnellate di petrolio al giorno a 20.000 tonnellate nel tempo, con un investimento iniziale cinese di 150 milioni di dollari, per poi arrivare a 540 milioni di dollari entro tre anni.
La società coinvolta era una sussidiaria della China National Petroleum Corporation, CNPC, che operava localmente con il nome di Af-China Petroleum & Gas Company. Era considerato un progetto di punta della Belt and Road Initiative cinese in Afghanistan.
Le disposizioni principali imponevano alla società di costruire una raffineria all’interno dell’Afghanistan e vietavano l’esportazione di petrolio greggio. Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, aveva precedentemente confermato che l’accordo includeva una clausola di risoluzione automatica in caso di mancato adempimento degli obblighi entro un anno.
Il ministero delle Miniere e del Petrolio afgano non ha reso pubbliche le specifiche violazioni che hanno portato alla risoluzione. Tuttavia, i funzionari hanno ora invitato le aziende internazionali con esperienza nel settore petrolifero a esaminare i documenti legali e finanziari dell’accordo annullato e a esprimere formalmente interesse per il progetto.
Tommaso Dal Passo
Segui i nostri aggiornamenti su Spigolature geopolitiche: https://t.me/agc_NW e sul nostro blog Le Spigolature di AGCNEWS: https://spigolatureagcnews.blogspot.com/