CPI 2013: maglia nera al Venezuela

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GERMANIA – Berlino 06/12/2013. Il Venezuela è tra i Paesi latinoamericani percepiti come i più corrotti al mondo. È quanto emerge dal rapporto CPI 2013, il diciannovesimo Indice di Percezione della Corruzione pubblicato il 3 dicembre 2013 da Transparency International, organizzazione internazionale non governativa che fa della lotta alla corruzione globale la sua mission. 

Presentato per la prima volta nel 1995, il CPI riporta la percezione della corruzione nel settore pubblico a livello mondiale, attribuendo annualmente a ciascun Paese un punteggio su una scala inversamente proporzionale che varia da 0 (massima corruzione percepita) a 100 (minima corruzione percepita). 

Per il 2013, si tratta di un risultato composito, ottenuto sulla base di fonti diverse: ricerche, valutazioni di esperti e interviste a rappresentanti del mondo degli affari e delle istituzioni, svolte da università e centri di studio per conto di Transparency International. 

Secondo l’Organizzazione, misurare la corruzione percepita è il modo migliore per stimare il fenomeno nel suo complesso, non potendo fornire stime basate su dati empirici inconfutabili.

Il CPI 2013 comprende 177 Paesi e mostra un panorama preoccupante: nessuna nazione ha raggiunto i 100 punti e più dei due terzi si collocano al di sotto dei 50 punti. A livello mondiale, se Danimarca e Nuova Zelanda condividono la posizione migliore con 91 punti, all’estremo opposto Afghanistan, Korea del Nord e Somalia chiudono la classifica con 8 punti a testa. Sono proprio i Paesi dell’Europa dell’Est, dell’Asia centrale e dell’Africa subsahariana quelli che registrano il peggior punteggio.

A livello regionale, molto critica è la fotografia del continente americano, centromeridionale in particolare. Su un totale di 32 Paesi in classifica, il 66% si colloca sotto la soglia dei 50 punti: Cuba, Brasile, El Salvador, Giamaica, Perù, Trinidad e Tobago, Colombia, Suriname, Ecuador, Panama, Argentina, Bolivia, Messico, Repubblica Dominicana, Guatemala, Nicaragua, Guyana, Honduras, Paraguay, Venezuela e Haiti. 

Secondo Alejandro Salas, direttore di Transparency International per le Americhe, tra i motivi di questi risultati allarmanti vi è il crimine organizzato che ha bisogno della corruzione per il traffico di droga, armi ed esseri umani e che così logora l’apparato statale in tutta la regione. 

A suscitare grande preoccupazione internazionale è il Venezuela, classificatosi in posizione 160 con soli 20 punti. Conferma così la sua percezione di Paese corrotto, conseguendo risultati simili per ben sette anni consecutivi. 

Transparencia Venezuela, divisione nazionale di Transparency International, sfrutta la diffusione del CPI 2013 per richiamare l’attenzione di tutte le istituzioni coinvolte: gli organi competenti per il controllo della spesa pubblica, i rappresentanti dell’Esecutivo, responsabili delle decisioni e delle politiche in merito, gli organi giudiziari e tutti i cittadini, invitandoli ad agire con fermezza contro l’impunità e la corruzione.  

Secondo l’Organizzazione, il punteggio riprovevole assegnato al Venezuela nel CPI 2013 risponde a debolezze istituzionali proprie del Paese e, come tale, il fenomeno deve essere affrontato con urgenza. 

Il professor Robert Klitgaard, considerato il più grande esperto di corruzione del mondo, la definisce come l’uso di una posizione di potere per scopi individuali e spiega che la condizione più favorevole al dilagare della corruzione si crea in presenza di monopolio del potere, discrezionalità e mancanza di responsabilità.

E in Venezuela, come commenta Mercedes De Freitas, direttrice di Transparencia Venezuela, questa è la norma. «Il nostro Stato è il più potente, il più chiuso e il meno esposto a controllo dell’America latina. L’Esecutivo venezuelano è dominante e non c’è una reale separazione dei poteri, questo limita la responsabilità dei governanti e l’accesso alle informazioni. In un Paese in cui la gente non ha mai dovuto contribuire con le tasse, perché c’è uno Stato paternalista che risolve tutto con i soldi del petrolio, non si esige trasparenza dal governo ma soluzioni concrete».

ll sociologo statunitense David Smilde, ricercatore dell’ONG Washington Office On Latin America (WOLA), spiega che «se le risorse pubbliche sono considerate risorse naturali, ‘di tutti’, il loro utilizzo per scopi privati è facilmente tollerato». 

Inoltre, secondo un sondaggio realizzato dall’agenzia Datanálisis lo scorso agosto, solo l’1,4% dei venezuelani ritiene che la corruzione sia tra le questioni prioritarie da inserire nell’agenda politica. A questo proposito, Smilde commenta «l’idea venezuelana di lotta alla corruzione non è quella di promuovere la trasparenza e applicare le sanzioni, bensì mettere la gente giusta al potere, quella ‘di fiducia». 

«È il sistema venezuelano ad impedirti di agire legalmente», dice De Freitas. «Dove c’è una fila, c’è rischio di corruzione», assicura la direttrice che aggiunge «il Venezuela si fonda sulla cultura del personalismo, sul bisogno di un’ala protettrice, di una relazione emotiva o transazionale». Di questa idea è anche Smilde, secondo il quale il senso di moralità sociale dei venezuelani è molto individualista. «I venezuelani tendono a non pensare in termini di principi astratti e norme etiche, ma in termini di persone concrete che “fanno ciò che è giusto per gli altri”. Così, chi utilizza la sua carica pubblica per dare lavoro o fare favori alla sua rete personale di contatti, è visto come qualcuno che “non si è dimenticato’ del suo popolo”. Il venezuelano confonde la complicità con la solidarietà», conclude De Freitas.

Forse allora è necessaria un’azione istituzionale, intesa come politica e giudiziaria, e culturale al contempo, da intraprendere con forza per combattere la corruzione e scalare la classifica del CPI per il prossimo anno.